venerdì 22 dicembre 2017

Un editoriale del  “Corriere della Sera”
Lo strabismo 
del professor Salvati




Vi invito a leggere l’editoriale di Michele Salvati, professore di economia,   uscito ieri l'altro  sul “Corriere della Sera” (*), perché è un classico esempio di strabismo economico-politico. Diciamo che il prof distorce, omettendone  una parte,  la realtà delle cose.   
Al tempo.  Salvati  individua bene le cause della crisi italiana, giustamente  legate   all’incomprensione protezionista (in senso sociale ed economico)  di un processo di liberalizzazione dei mercati, apertosi negli anni Ottanta del Novecento. Processo irreversibile, che alla lunga accrescerà il benessere di tutti.
Insomma, a suo avviso  l’Italia,  non avrebbe mai  fatto le famose  riforme.   Sicché, ora, a causa di una  campagna elettorale,  che vede  tutti  i partiti   su posizioni protezionistiche,  si rischia di fare, puntando sulla “pancia degli elettori”,  un passo indietro e  perdere per sempre il treno delle riforme.
Il ragionamento fila. Tuttavia Salvati, che fa bene a prendersela con  partiti  che non fanno da filtro politico-culturale  alle imperversanti dinamiche populiste,  nulla dice   -  ecco lo strabismo argomentativo -  circa la natura microscospica  e assistenzialistica delle imprese italiane.  Che, nei fatti,  non hanno mai saputo cosa  farsene  del laissez faire,  laissez passer.  Purtroppo. 
Se si ripercorre la storia economica d’Italia, a parte alcuni economisti-politici (nel senso del doppio ruolo di economisti e ministri) come Cavour, Ferrara,  Einaudi, Carli,  forse Corbino, De Stefani e pochi altri, il libero mercato non è mai stato molto  amato. E non solo ad alto livello, ma anche sul piano giornalistico.
Per fare solo un esempio, si prenda il  “Sole 24 Ore”, quotidiano della Confindustria, tra l’altro semifallito e divoratore di contributi pubblici indiretti (sgravi fiscali, eccetera), che dovrebbe difendere il libero mercato:  sembra il bollettino del commercialista, vi si  parla solo di tasse e di come pagarle,  di redistribuzione sociale e di finanziamenti pubblici. Diciamola tutta:  è un giornale semisocialista.  Altro che il "Wall Street Journal"...
Certo, è vero che negli anni Novanta, intorno alle privatizzazioni, e nel decennio dopo, sull’euro,  si aprì un dibattito politico sulla necessità di parlare al mondo e di tagliare indebitamento e spesa pubblica.  Risultato?  Qualche giorno fa si annunciava, coram populo,  che il Monte dei Paschi "tornerà banca di stato".  
Qui lo scandalo non è quello delle  mai provate pressioni della “Ministra” Boschi per salvare la banca paterna, ma di un sistema, che, invece di far fallire le banche, quando meritano, ne ripiana i conti in rosso. In teoria, si dice,  per evitare un nuovo ’29,  in pratica,  per accontentare tutti, banchieri e investitori,  grandi e piccoli.  E così  non perdere voti.
Si chiama capitalismo assistito.  O se si preferisce individualismo protetto: dal grande industriale e banchiere al padrone dei capannoni  fino all'avido pensionato che compra titoli ad alto rischio e vota Grillo. Pertanto è vero che i partiti non filtrano, ma è altrettanto vero che  mentalità e  pratica del capitalismo italiano, anche nei  cascami pulviscolari, sono di  straordinaria arretratezza.  Lo stesso “Corriere della Sera”, che tra l’altro mai ha rifiutato i contributi  pubblici indiretti,  affianca agli editoriali di Salvati  interviste a imprenditori e banchieri che sopravvivono grazie alla mano pubblica.
Concludendo,  se i politici non hanno idee, le imprese non stanno messe meglio.