venerdì 2 giugno 2017

“Gli Usa non onoreranno più le parti non vincolanti dell'accordo di Parigi ”
Trump, difensore della libertà?



Trump ha annunciato l’addio all’accordo di Parigi sul clima: è un suo pieno diritto. Non viviamo  forse in un  mondo tuttora articolato in stati nazionali,  importante retaggio dell’ordine politico  vestfaliano?  E per giunta si tratta di un diritto ben sostanziato dalla forza politica ed economica degli Stati Uniti.  Insomma, Trump può permetterselo. Se poi darà concretamente seguito a una decisione, come vedremo, da difensore della libertà,  è un’altra storia. 
Comunque sia,  l’Italia, potenza assai inferiore,  non potrebbe mai permetterselo.  E di conseguenza è costretta a fare  di necessità virtù, schierandosi regolarmente - anche per la forte cultura anticapitalistica che da sempre anima lo Stivale, come conferma la lettura dei giornali di oggi -  con i “difensori  del pianeta”:  in pratica, la sinistra mondiale nella sue varie tendenze: comuniste, post-comuniste, ecologiste, cristiano-sociali, socialdemocratiche, liberal.
Usiamo la sciabola di una retorica triviale? Siamo concettualmente grossolani?  Forse.  Ma non possiamo non esserlo,  perché chiunque ami la libertà, non può non considerare l’ecologismo una specie di continuazione del comunismo con altri mezzi.  Siamo davanti a un esempio da "manuale del costruttivismo politico".  Che cos’è però il costruttivismo? Facciamo subito un esempio.
Il capitalismo, per usare un termine chiaro a tutti,   non è  nato  per caso: nessuno, un bel giorno,  si è svegliato, decidendo di edificarlo dal nulla. Il capitalismo è frutto di un processo di selezione istituzionale, originato a sua volta, dall’interazione di milioni di individui, attraverso il quale esso  si è consolidato perché ritenuto  migliore di altre forme istituzionali. Il capitalismo, insomma, ha vinto sul campo.
Ben diverso il discorso, per quelle forme istituzionali, come il comunismo, costruite “a tavolino”,  nel tentativo di  imporle  dall’alto, perché si pretende di conoscere quale sia il bene di ogni singola persona.  Sicché l’ecologismo non è altro, che una forma di costruttivismo, qualcosa che si vuole imporre in modo verticistico "per il bene del pianeta",   come un tempo  il comunismo "per il bene dell'umanità": comunismo ed ecologismo condividono una comune radice anticapitalistica. 
Del resto si pensi al “benicomunismo” ecologista  e al vincolismo socialdemocratico e liberal, imperniato sulla favoletta dello "sviluppo possibile",  fenomeni, in realtà,  ideologicamente parlando, di stampo  comunistoide e statolatrico, presentati  come  progetti  di salvazione planetaria. Fenomeni che  si propagano alla velocità del suono  grazie a  un catastrofismo pseudoscientifico largamente recepito dai mass media.  E, cosa più grave, che rischiano  di  trasformarsi,  sulla falsariga della perversa ottica di un erigendo stato mondiale,  in vincolanti accordi e trattati: gli stessi respinti, e giustamente,  da Trump.  Per inciso: che certa destra anticapitalista, condivida, la vulgata ecologista è tutto un programma. Costruttivista.  I totalitarismi, anche se  di ideologia opposta,  finiscono sempre per toccarsi. 
In fondo,  gli argomenti catastrofisti  dell’ecologia, ai quali, come per il comunismo, viene data “una botta” di vernice scientifica, sono gli stessi dell’Ottocento, già ben presenti e diffusi in   tutte le correnti romantiche, anche reazionarie,  non solo utopiste e socialista quindi,  tutte ugualmente contrarie al libero sviluppo economico. Se avesse vinto il  romanticismo politico, oggi,  obbligatoriamente, ci  nutriremmo di radici, o quasi.  Altro che la libera scelta vegana  e  la  spesa alimentare  alternativa al supermarket del  biologico sotto casa…
Si dirà, ma allora la scienza economica? Non è un’imponente “costruzione”?   Sì e no.  Perché   si è  sviluppata molto lentamente, consolidandosi dopo la “vittoria” del capitalismo: in definitiva,   si tratta di  una razionalizzazione ex post,  per quanto geniale.  Quando Adam Smith scrisse il suo capolavoro,  ancora non si parlava di capitalismo: il “sistema” era in tumultuosa costruzione, senza che nessuno sapesse  cosa  stesse nascendo.  Saranno Marx, intorno alla metà dell’Ottocento,  Weber e Schumpeter, nella prima del Novecento,  a coniare il termine  capitalismo (Marx a dire il vero parlò di “modo di produzione”, in chiave, ovviamente  negativa, come del resto, anticipandolo, alcuni  utopisti socialisti).  
Che poi oggi si difenda il capitalismo, magari talvolta esagerando, è un altro discorso, certo criticabile.  Come lo è, la discussione, spesso oziosa,  sul  fatto che il capitalismo non  sia  un “sistema”  perfetto. Ma cosa c'è  di perfetto in  questo mondo? (come insegna il razionalismo critico di Popper).  Il punto è che finora il capitalismo ha provato di  saper  “funzionare” meglio di altri sistemi economici.  E probabilmente ciò è dovuto alle sue radici libertarie, spontaneistiche, che comunismo, ecologismo,  socialdemocratismo burocratico non hanno, e che per reazione tentano di recidere ovunque attecchiscano.  Applichiamo  al capitalismo la logica del successo? Sì, che c’è di male?   La logica della verità lasciamola ai teologi.    
Quel che però è ancora più importante, almeno dal nostro punto di vista,  è la comprensione  della differenza sociologica tra ordine spontaneo, che poi non è solo quello del mercato ma  di tutte le  autentiche  istituzioni sociali ( dal linguaggio al diritto), e ordine costruito, come nel caso delle artefatte teorizzazioni politico-sociali del comunismo e dell’ecologismo. L’ordine spontaneo è  indice di libertà, l'ordine costruito di schiavitù.
In qualche misura, per tornare al presidente americano,  la scelta di Trump è una scelta di libertà.  Almeno in questo ambito.  Che poi egli  sia un protezionista è un' altra storia. Come dicevamo all’inizio,  è un  diritto di Trump ( e degli Stati Uniti) esserlo, salvo precisare, da parte nostra,   che anche il protezionismo è una “costruzione a tavolino”. Qualcosa che si vuole imporre dall’alto. Pertanto, quanto agli effetti di ricaduta burocratici, con una sua pericolosità sociale.
Che dire? Contraddizioni della politica:  arte del possibile, quindi   tentativo, sempre  “a tavolino”, di conciliazione degli opposti, mediando, implementando, contrastando, permettendo, eccetera: l'esatto contrario di un ordine spontaneo.  Per usare  una metafora che chiama il causa il linguaggio (altro esempio di ordine spontaneo), la politica, soprattutto di governo,  sta al mercato, come la grammatica degli accademici  alla lingua viva, che muta continuamente, sull’onda sempre incalzante della libera interazione tra liberi individui.   
Al lettore le conclusioni.  

Carlo Gambescia