domenica 15 novembre 2015

Eccidio di Parigi
Il miglior amico del razzismo 
è il governante vile... 


È celebre la frase di Mussolini “non si può fare la guerra senza odiare il nemico” (2 dicembre 1942). Mussolini era un dittatore. Ma non va  neppure   ignorato l'odio verso Hitler  evocato  da Churchill, che non era un dittatore: “Batterci contro una tirannide mostruosa, non mai superata nei tragici annali dell’umana criminalità" (13 maggio 1940). 
Ieri  il presidente  Obama, lo stesso Papa e altri leader, pur con sfumature diverse, hanno addirittura messo in discussione, l’umanità (come appartenenza, crediamo, a un unico genere umano) dei terroristi in azione a Parigi. Parliamo di un Presidente, politicamente discutibile, ma di sentimenti democratici, e di un Papa che ha scelto come nome quello di Francesco, autore di una celebre cantica in onore di tutte le creature della terra.
Mussolini, Churchill, Obama, il Santo Padre…  Cosa c’è che non va?  Che le guerre  sono una continuazione dell’umanità con altri  mezzi, per parafrasare il celebre motto clausewitziano. Cosa vogliamo dire? Che l’odio è una componente ineliminabile dei comportamenti umani: quindi non  esistono società buone e guerre cattive, o per l’appunto statisti, anche aureolati, incapaci di odiare o predicare l’odio,  ma più semplicemente esiste un continuum dove l’odio, mantenendo una sostanziale unità di specie (o di genere) assume gradi (di intensità) differenti, che possono andare dall’antipatia all’avversione, dall’aggressione alla volontà di distruzione dell’altro.  L’antipatia, sentimento più privato che pubblico, è socialmente gestibile attraverso la competizione; l’avversione pure, come avviene in campo politico, attraverso forme di mediazione istituzionale; l’aggressione e  la distruzione rinviamo direttamente alla guerra.
A questo punto ci si chiederà,  ma allora l’amore?  Non è  un sentimento umano?  Certamente,  ma anch’esso è divisivo, perché nel momento in cui si ama qualcuno, l’esclusività stessa dell’amore, implica almeno  l’antipatia  verso chiunque voglia portarci via la persona amata. Di qui, semplificando,  come per l’odio, una serie di livelli crescenti: dai dissapori di coppia e in famiglia  alle guerre civili e mondiali.
Per dirla brutalmente, la guerra, è una forma di odio istituzionalizzato. Ciò significa che  in quanto istituzione va gestita con intelligenza e prudenza. Quindi il problema non è la disumanizzazione del nemico, fenomeno  che ha natura scalare perché racchiuso, piaccia o meno, nel DNA dei meccanismi sociologici dell’odio umano. Perciò dichiarare la disumanità del fondamentalismo  islamista va benissimo sul piano militare e della retorica bellica, a patto però di  passare subito all’azione.  Perché il vuoto organizzativo ( o peggio) che si può creare tra le parole e i  fatti  rischia di alimentare la deistituzionalizzazione dell’odio,  ossia  la sua pericolosa diffusione a livello collettivo con l'inevitabile  trasformazione (certo in prospettiva) della guerra annunciata in guerra civile tra bande armate di cittadini. Insomma,  il miglior amico del razzismo è il governante vile. Che talvolta,  per insicurezza o debolezza  favorisce, se ci passa l'espressione,  lo sviluppo delle famigerate "guerre tra poveri". E qui si pensi, per passare al piano mediatico, ai titoli rancorosi, stupidi  e  incivili, apparsi, questa mattina,  su molti quotidiani, soprattutto di destra.
Per tornare su quanto scritto ieri, la migliore risposta al nemico, ma soprattutto  al razzismo  strisciante, resta un attacco immediato, chirurgico ma devastante, e perciò dal valore  deterrente.   

     Carlo Gambescia  
  

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