venerdì 22 febbraio 2013


L'articolo del professor Dalmacio Negro ritorna sulle “dimissioni” del Papa , aprendo però un’ inedita prospettiva schmittiana su una questione aperta da secoli:  quella dell’eterna lotta per le investiture tra i due poteri, religioso e temporale. Di qui il suo grande interesse. Buona lettura. (C.G.)


Le dimissioni del Papa e l’eterna
lotta per le investiture
di Dalmacio Negro




Le cause personali delle dimissioni (dimittere, rinuncia all’incarico) sono chiare. Ma perché il Papa non si è rimesso alla volontà di Dio, come i suoi predecessori? I contrasti, gli intrighi, i tradimenti, le invidie vanno sempre messi in conto  quando si occupa una posizione importante. E lo stesso si può dire delle divisioni interne al clero e ai fedeli.  Certo,  se il Papa si fosse dimesso per  tali ragioni potrebbe essere ritenuto un irresponsabile. Ma, in realtà, un Papa non può rinunciare alla sua missioperché vittima di disinganni, disillusioni, insuccessi o disgusto. E né il teologo Ratzinger, né il Papa Benedetto si sono mai comportati da irresponsabili.  Pertanto,   la “grande decisione” di Benedetto XVI rinvia alla logica dello stato di eccezione.
A suo tempo, Pierre Chaunu  chiarì che l'inizio dell’inabissamento della Chiesa Cattolica  andava ricondotto alla morte di Pio XII.  Di  riflesso,   i fragili argini di un Concilio poco o nulla  hanno potuto contro una tempesta che proveniva da lontano.Ecclesia semper reformanda: il Popolo di Dio,  poiché sempre in cammino, spesso si è trovato a dover affrontare le ricorrenti crisi convocando un Concilio. Tuttavia il Vaticano II  rappresenta qualcosa di eccezionale. E lo si può capire da quel che è accaduto dopo:  Giovanni Paolo II  ha cercato, con  grande dispendio di energie,  di  mantenere  sulla  rotta  giusta  la nave di Pietro. Mentre Ratzinger ha  provato a  restituire dignità - chiarificandola - alla teologia.  In certa misura, la sua missione ha dato frutti anche se alla fine le sue forze sono venute  meno,  come del resto  il tempo per condurre a termine, si spera, quel grande compito, al quale, oggettivamente, non potrà sottrarsi il suo successore. È perciò prevedibile, vista la situazione, che si aprirà una nuova fase, molto intensa, dell’eterna lotta per le investiture tra l’ auctoritas della Chiesa e i poteri temporali
Mentre la Chiesa si va espandendo negli altri continenti, nel mondo cristiano la religione è in declino. Le defezioni e le forme di apostasia – che affliggono più intensamente il mondo protestante – non sono, per ora, seguite da revivals sostenuti e favoriti da poteri politici, culturalmente cristiani. Quanti e quali governi accettano o praticano i principi, pur minimi, proclamati come irrinunciabili da Benedetto XVI? I governi sono diventati i campioni della rivoluzione legale in atto; rivoluzione,  a sfondo nichilista, rivolta a cambiare radicalmente la cultura e la civiltà cristiane. I governi hanno occhi e orecchie solo per la “questione antropologica” (Benedetto XVI), che però  si manifesta in quella “cultura della morte” (Giovanni Paolo II),  che rappresenta solo una delle sue pericolose  ricadute sociali.  
In buona sostanza, si tratta di una questione teologica, poiché il motore primo di questa gigantesca rivoluzione culturale resta l’antica eresia della apocatastasi. Secondo la quale tutte le cose umane tendono verso la riconciliazione finale prima della parousía, la seconda venuta di Cristo, dal momento che l’uomo sarebbe perfettamente in grado di instaurare, con le sole proprie forze, il Regno di Dio sulla Terra. Tale eresia,   resa più forte dalle conquiste scientifiche e tecniche,  rimane la madre di tutte le ideologie e bio-ideologie progressiste che agiscono come vere e proprie religioni secolari. Condannata dal Vaticano II, resta senza alcun dubbio, la causa principale delle divisioni interne alla Chiesa, della crisi del clero, della apostasia di massa, nonché dell’atteggiamento dei poteri pubblici verso la religione cristiana e la Chiesa.
Queste ideologie si sono affermate, stante la natura oligarchica di ogni forma di governo, puntando sulla complessa soluzione della “questione sociale” . E in che modo? Promettendo la salvezza in questo mondo.
Tuttavia, una volta edificato lo “stato del benessere” da cui tutti si aspettavano grandi cose, la rivoluzione culturale del Maggio del 1968, in coincidenza con la chiusura del Vaticano II (1962-1965) sollevò, alzando il tiro, la “questione antropologica”. I suoi seguaci aspiravano e aspirano, in modo ancora più radicale, alla trasformazione della natura umana.  Cosicché le intense dispute in argomento sono inevitabilmente  finite al centro dell’agenda politica. Il che ha causato l’ accantonamento della “questione sociale”, fatto abbastanza prevedibile, considerata la natura amorale e biecamente oligarchica delle classi governanti, prontissime ad usare la “questione antropologica” per sviare l’attenzione dai fallimenti e così consolidare le proprie posizioni, presentandosi come liberatrici  degli uomini da inutili pregiudizi ancestrali .
La civiltà occidentale, nella sua essenza cristiana, è opera della Chiesa,  istituzione oggi   minacciata dalla politica.  La Chiesa si trova perciò davanti a un bivio. Rimane quindi  comprensibile, che dinanzi alla prospettiva di un serrato  confronto con i poteri pubblici, il Papa abbia prudentemente pensato a un successore capace di affrontare  il prevedibile kulturkampf :   una  lotta per la cultura e la civiltà,  che inevitabilmente passa  attraverso il perseguimento dell'  auctoritas. Insomma, siamo dinanzi a un nuovo capitolo dell’eterna lotta per le investiture.
La prudenza è  virtù politica per eccellenza. La Chiesa, comunità spirituale (communio ) dei fedeli intorno a Cristo,  non è politica né antipolitica. Benché, e senza alcun dubbio,  quale "contromondo" nel "mondo" sia velis nolis la più politica fra tutte le istituzioni. (trad. di C.G., rev. del testo spagnolo per l'ed. it. di J.M.)

Dalmacio Negro


Dalmacio Negro è professore emerito di "Historia de las Ideas y Formas Políticas" presso l’Universidad Complutense (Madrid),  nonché  membro della Real Academia de Ciencias Morales y Politicas. Tra i suoi numerosi libri: Gobierno y Estado, El Liberalismo en España, La tradición liberal y el estado, El mito del hombre nuevo, Historia de las formas del Estado.

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