mercoledì 24 aprile 2024

Afascismo e anti-antifascismo

 


Nel 1945 ebbe termine una catastrofica guerra mondiale che però salvò l’Europa dalla dittatura nazifascista. Vinsero le forze liberali e democratiche, con l’aiuto a Est dell’ Unione Sovietica, grande potenza che non era né liberale né democratica. Fu una scelta obbligata. Hitler poteva essere battuto solo se attaccato contemporaneamente su due fronti.

Il fascismo italiano uscì sconfitto da un guerra che aveva contribuito a scatenare, prima puntando su ridicoli sogni da grande potenza, che portarono alla “militarizzazione” totalitaria dell’ Italia. Poi assecondando la feroce guerra di conquista di Hitler. E infine macchiandosi di colpe incancellabili come la persecuzione degli ebrei, particolarmente feroce durante il periodo della Repubblica “sociale”, che vide i burattini fascisti tenuti per i fili degli sgherri hitleriani.

Eppure, nel dopoguerra, piano piano i nostalgici del fascismo entrarono in parlamento, poi furono sdoganati dal Cavaliere, e infine, oggi governano l’ Italia. Il che, almeno a prima vista, significa che un terzo degli elettori italiani ha perdonato o dimenticato ciò che fu il fascismo: guerra e rovine.

In nome di questo terzo, in pratica l’elettorato di Fratelli d’Italia, affiancato da quello della Lega e di Forza Italia (che però, a dire il vero, nel complesso si avvicina quasi alla metà dei votanti), qualsiasi tentativo di evocare l’ antifascismo, allo scopo di evitare che il fascismo possa ripetersi, viene liquidato in nome dell’anti-antifascismo.

Si sostiene che l’antifascista sia un comunista mascherato, che con la scusa dell’antifascismo vuole impedire alla destra di governare. Quindi l’antifascismo sarebbe un fenomeno  antidemocratico: una specie di rimasuglio  della  politica estera cominformista sovietica.

Il che non è del tutto falso. I comunisti italiani fecero dell’antifascismo, anche dopo la caduta dell’Unione sovietica e i cambiamenti di nome, un mezzo per discriminare i non comunisti di qualsiasi colore fossero. Insomma, il non comunista (quindi non solo l’anticomunista) come potenziale fascista. Ma questa è un’altra storia…

Anche perché problema di oggi, non è più il comunismo, ma questa destra che non ha mai fatto i conti con il fascismo. E qui va riconosciuto a Gianfranco Fini, almeno un tentativo, il famoso convegno di Fiuggi (anno di grazia 1995), di fare questi benedetti conti.

Per contro Giorgia Meloni ha saltato a piedi giunti l’esperienza, diciamo riformista, di Alleanza Nazionale, per ricollegarsi direttamente al Movimento sociale, come provano il suo spudorato patriottismo di partito e l’ evocazione della tesi tragicomica di un Movimento sociale democratico solo perché presente fin dall’inizio in parlamento. Anche i deputati fascisti prima dell’instaurazione della dittatura sedevano alla camera…

Ovviamente, i “fascisti” di oggi – fascisti perché si rifiutano di fare i conti con il passato fascista- non sono il clone dei bei campioni del Ventennio, ma ne hanno conservato non pochi tratti culturali e politici: la mentalità autoritaria, il gretto conservatorismo sociale, il razzismo, l’anticapitalismo, l’antiliberalismo, il nazionalismo, l’antiparlamentarismo e il culto di un esecutivo semidittatoriale.

Pertanto gli antifascisti, quando elencano, in chiave di anamnesi politica, questi aspetti, pongono questioni serie. Il pericolo esiste. Ovviamente, soprattutto quando di sinistra, gli antifascisti possono strumentalizzare i valori dell’antifascismo, ad esempio evocandoli contro Israele, ma  il grande problema – ripetiamo – del Dna cultural-fascista di  Fratelli d'Italia permane.

E rimane perché Giorgia Meloni, invece di fare i conti con il fascismo – qui viene l’aspetto strategico nuovo – ha adottato la linea dell’afascismo. Cioè di non dichiararsi fascista (anche perché scoprirebbe le sue carte), né antifascista (nel senso di una riflessione sulla lezione del 1945, quindi fare i conti con il fascismo).

E qui viene fuori il punto interessante. L’afascismo incontra il favore di molti italiani, anche di coloro che non votano a destra. Per quale ragione? Innanzitutto perché nel 1943-1945, la stragrande maggioranza degli italiani (secondo Renzo De Felice il 90 per cento) rimase alla finestra, ragionando proprio in termini di afascismo (né fascisti né antifascisti).

Pertanto nella maggioranza delle famiglie italiane si è trasmessa, di generazione in generazione, la visione della Resistenza e della Liberazione, come uno dei due opposti estremismi: il primo antifascista, il secondo fascista. Di conseguenza l’afascismo di Giorgia Meloni va a intercettare l’afascismo del 1943-1945, passato di padre in figlio. Un vera forza storica e sociologica.

Detto altrimenti: il voto che viene dato a Fratelli d’Italia è un prolungamento dello stesso quietismo sociale del 1943-1945 che spinse e spinge, prima a restare alla finestra, per poi schierarsi con il vincitore politico. Così fu nel 1922-1926, con la dittatura, così nel 1943-1948, con la Repubblica.

Si può insistere quanto si vuole sull’egemonia, esercitata dai comunisti sulla Resistenza, anche per scopi propagandistici, ma in realtà le forze dell’afascismo sono risultate più forti. Perché siamo davanti a forze potenti, molto difficili da contrastare: quelle del quietismo sociale, nel senso di un totale e ciclico abbandono, quasi cieco diremmo,  ai poteri di un governo che come un dio mortale vede e provvede.

Il quietismo è una potente forza di consenso e obbedienza sociale. Che, per dirla alla buona, può essere volta a fin di bene, come a “fin di male”.

Pertanto l’anti-antifascismo può contare sulla forza inerziale del bisogno di sicurezza, che rinvia, per dirla in parole povere, al non schierarsi, per evitare di incorrere nella vendetta dei vincitori, e così salvaguardare la propria sicurezza. Si potrebbe parlare di una specie di “donabbondismo” sociale: un misto di pavidità e indecisione che favorisce la formazione e l'obbedienza a qualsiasi ordine sociale e politico purché sia tale.

Si possono ora intuire le ragioni della crisi dell’antifascismo L’appello ai valori della Resistenza, al coraggio e alla libertà, legati alla epocale rinascita, dopo il nazifascismo sconfitto, di un ordine liberal-democratico, sono visti dai quietisti, che sono la maggioranza, come divisivi, quindi pericolosi dal punto di vista della pace sociale.

L’anti-antifascista ragiona come Don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. E cede a Don Rodrigo.

Se le cose stanno così sarà dura liberarsi del nuovo Don Rodrigo, con le unghie laccate di rosso, e dei suoi bravacci dell’anti-antifascismo.

Carlo Gambescia

martedì 23 aprile 2024

“Non me ne fotte nulla”. Nicola Porro e la Resistenza

 


Quella che segue è la valutazione di Nicola Porro, liberale (così dice), a proposito del monologo di Scurati censurato dalla Rai.

«Ma era un monologo del cavolo, una idiozia stratosferica. Insomma, le solita banalità sul 25 aprile. E ve lo dico: non me ne fotte nulla della Resistenza. Io penso che noi non dobbiamo la nostra libertà e la nostra democrazia alla resistenza comunista. Non dobbiamo niente a quei comunisti che avrebbero voluto fare da noi la nuova Jugoslavia. Piuttosto, penso che dobbiamo molto agli americani che sono morti per noi» (*).

Da un intellettuale liberale ci si aspetterebbe un’interpretazione della Resistenza e della Liberazione più evoluta, diciamo così.

Tra l’altro Porro ha rilevato di recente Liberilibri fiore all’occhiello della cultura liberale italiana, casa editrice fondata dal compianto Aldo Canovari ( che poi ne è stato l’anima) e Carlo Cingolani. Pertanto ora siamo molto preoccupati. Perché diciamo la verità: una cosa del genere avrebbe potuto scriverla Marcello Veneziani. Perciò, se tanto ci dà tanto, nulla esclude che l’intellettuale di Bisceglie non possa non diventare un autore di punta di Liberilibri. Se ci si passa  battuta: chi si somiglia si piglia.

Come si può scrivere una cosa del genere e professarsi liberali? E per che cosa? Per minimizzare o addirittura giustificare una grave censura della televisione di stato oggi controllata – perché questa è la nuda verità – da un partito di estrema destra, dalle radici fasciste, quindi antiliberali: Fratelli d’Italia, che pratica l’afascismo per evitare di pronunciarsi sull’antifascismo.

Porro oltre a sposare la tesi, tipicamente neofascista, che ridicolizza la Resistenza e la Liberazione come appendici politiche del comunismo, la usa, ripetiamo, per minimizzare, se non giustificare, un grave atto di censura. Un vero gentlemen liberale...

Ma c’è dell’altro. Porro, come capita ai difensori troppo zelanti di una causa sbagliata, esprime un giudizio storicamente improprio anche sul contributo militare americano. È senz’altro vero che dobbiamo la nostra libertà all’intervento americano in Europa. E di questo saremo sempre grati. Però è altrettanto vero che la campagna d’Italia, per materiali e risorse umane, fu mandata troppo per le lunghe, dal momento che la penisola era considerata un fronte secondario.

Il che pesò sulle attività militari partigiane,  soprattutto nel Nord, costrette a procedere a singhiozzo, a causa dello squilibrio in termini di tempistiche con la lenta avanzata delle truppe alleate. E di questo approfittò la durissima  repressione nazifascista.

Gli americani dallo sbarco in Sicilia (unitamente ad altri microsbarchi “a risalire”), impiegarono quasi un anno per conquistare Roma. Firenze fu liberata nell’agosto del 1944. Poi l’ avanzata si arenò quasi fino alla primavera del 1945, quando i nazifascisti collassarono, sotto i colpi della resistenza partigiana,  degli intensi bombardamenti alleati e delle pessime notizie da Berlino, circondata dalle truppe sovietiche.  E fu Liberazione.

Come si può disconoscere la lotta partigiana che favorì la nostra primavera di libertà? La Resistenza è una pagina nobilissima: un “Secondo Risorgimento” (**). La si veda come una magnifica lotta per una nuova indipendenza e liberazione dell’Italia dallo straniero oppressore. Si pensi ai fascisti, accostandoli agli austriacanti e ai reazionari che si opposero all’unità nazionale.

Una bellissima pagina scritta in nome dell’ “antifascismo”. Cioè contro il fascismo, nemico giurato della liberal-democrazia, faticosamente conquistata dai padri liberali ottocenteschi. Una doverosa scelta “anti” – quindi non “a” fascista – che accomunò tutti i partigiani, a prescindere dal colore politico.

Ma di tutto questo a Porro “non fotte nulla”.

È veramente triste scoprire in quali mani sia finita la gloriosa bandiera liberale.  E purtroppo Porro non è il solo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.nicolaporro.it/scurati-martire-fate-come-me-meritano-solo-una-pernacchia/ .

(**) Sul punto, perché ricco di informazioni e interessanti giudizi sulla Resistenza e la Liberazione, si veda il classico volume a più mani Il Secondo Risorgimento. Nel decennale della Resistenza e del ritorno alla democrazia 1945-1955, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1955. Scritti tra gli altri di Aldo Garosci, Luigi Salvatorelli, Raffaele Cadorna, Costantino Mortati. Panfilo Gentile. Vi prevale un punto di vista liberale, ma aperto e intelligente. Evoluto.

 

lunedì 22 aprile 2024

Pubblicità. Imprese, via dalla Rai!

 


Rai. Oggi parliamo di soldi. Si legga qui:

«Il gruppo Rai stipendia 12.700 dipendenti. Ha 300 dirigenti e 2.058 giornalisti. Fra canone, pubblicità e altre entrate non si arriva a 2,7 miliardi di incassi. Un miliardo evapora per pagare il personale, in media più di 80 mila euro procapite. Ma soprattutto un altro miliardo se ne va per i servizi e gli appalti esterni. È una somma mostruosa, che alimenta un circuito economico enorme. La stessa Rai stima un  impatto occupazionale di 26.094 persone. Più del doppio delle risorse interne»

Per contro, e per avere una pietra  di paragone,

« Mediaset ha tre reti televisive in chiaro e una serie di canali digitali. A differenza della Rai non ha la radio, ma in compenso una struttura televisiva in Spagna di dimensioni paragonabili. In tutto ha 4.900 dipendenti. E un fatturato intorno ai 2,6 miliardi di euro, pressoché identico a quello della Rai. Però il costo del lavoro è la metà e i bilanci sono stati sempre in utile». (*) .

Pertanto la Rai costa. E parecchio. Un inciso, ieri navigando all’interno della pagina Organizzazione e risorse (**), abbiamo scoperto, che un mediocre  “Bel ami”, uno stronzetto sgomitone (per dirla alla buona), di nostra conoscenza, oggi cinquantenne, in quota Fratelli d’Italia, per farsi gli affari pseudo-artistici suoi si pappa 200 mila euro all’anno…

La Rai è antimeritocratica, costa e censura in base alle scelte politiche dei governi in carica. Scoperta dell’acqua calda. Eppure…

Una legge del 2004, targata governo Berlusconi, imponeva il collocamento in borsa dell’ azienda entro quattro mesi. Come finì? La sinistra temeva che le azioni una volta quotate finissero nelle mani del Cavaliere. La destra usò invece la cosa come minaccia contro la sinistra, incistata in Rai  come i protozoi. Sicché, finì zero a zero. L’articolo sulla privatizzazione rimase lettera morta.

Ora che sono al governo gli eredi del Movimento Sociale, e non più il Mambretti (Berlusconi), la pistola carica, nel senso del censurare, dell’incensare il governo, eccetera, è nelle mani dell’estrema destra. Che con la libertà ha un rapporto a dir poco complicato. E i risultati si vedono.

Perciò vorremmo oggi invitare gli imprenditori privati a non investire più in pubblicità Rai: circa 6-700 milioni nel 2021. Non è molto rispetto a ciò che la Rai  incassa con il  canone (2 miliardi circa). Però le sanzioni economiche sarebbero un buon punto di partenza morale.

Potremmo proporre anche il rifiuto del pagamento del canone. Però per “gli scioperanti” è prevista una sanzione che giunge fino a 500 euro. Ovviamente, sono previste penali anche per la rescissioni dei contratti pubblicitari. Però grandi imprese alimentari, bancarie, farmaceutiche, eccetera, hanno sicuramente le spalle più forti del singolo utente televisivo.

Per non parlare delle multinazionali, dal lusso alle automobili, impegnate in grandi battaglie etiche per la difesa del pianeta o di questa o quella minoranza… Anche a loro ci appelliamo: in Italia è a rischio la libertà di una minoranza di italiani che non la pensa come Giorgia Meloni e che considera pericolosi, e i fatti lo stanno provando, i trascorsi fascisti dell’attuale governo. Con le sanzioni economiche – un passo indietro sulla pubblicità – da parte delle imprese, si potrebbe intanto lanciare un segnale forte, di libertà, verso l’estero, anche in vista delle elezioni europee. 

Certo, resta il fatto,  altro grandissimo  ricatto,  che   governo e dirigenza Rai, scaricarebbero  sugli utenti i mancati introiti pubblicitari, aumentando il canone.  Cornuti e mazziati, per dirla alla buona.  Però una scossa si deve dare. Nessuna protesta è a costo zero. 

Non crediamo invece alle  lagne del sindacato giornalisti soprattutto interno alla Rai, come pure nelle minacce di sciopero, perché le idee politiche del redattore Rai e del giornalista di sinistra sono stataliste. Si vuole cambiare solo il direttore d’orchestra, non l’orchestra e la musica. Nessuno tocchi Caino, pardon la “pappatoria”.

Quanto alla destra, già sembra di sentirli i cani da guardia di Giorgia Meloni: “Gambescia è un anti-italiano, fa appello allo straniero”. Massima accusa, quella che un tempo precedeva il confino, che i fascisti lanciavano e lanciano  contro i non conformisti.

Sì facciamo appello allo straniero.  Servono nuovi liberatori. Un nuovo 25 aprile.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://lespresso.it/c/inchieste/2023/7/13/quanto-ci-costa-la-rai-e-dove-finisce-il-canone/2597 .
(**) Qui: https://www.rai.it/trasparenza/Organizzazione-e-Risorse-Umane-88972b31-8d4c-49ba-bccf-c1cdf0f5d136.html .

domenica 21 aprile 2024

Giorgia Meloni, Antonio Scurati e la privatizzazione della Rai

 


Giorgia Meloni non capirà mai il senso della democrazia liberale. Qui il problema.

Il fatto: la dirigenza Rai, questo giro, controllata da Fratelli d’Italia,  non ha permesso allo scrittore Antonio Scurati, autore di una biografia su Mussolini e il fascismo in più volumi, di leggere in occasone del 25 Aprile un suo monologo sul delitto Matteotti e altri eccidi nazifascisti.

Le motivazioni economiche ed editoriali addotte dalla Rai qui non interessano. E neppure quelle oppositive della sinistra. Pur giudicando malissimo fascismo e neofascismo vorremo evitare di farci risucchiare dalle polemiche destra contro sinistra e viceversa.

Interessa invece la reazione di Giorgia Meloni che ha pubblicato il testo di Scurati sulla sua pagina Fb, minimizzando la censura.

Ecco il suo cappello:

«In un’Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso. Stavolta è per una presunta censura a un monologo di Scurati per celebrare il 25 Aprile.
La sinistra grida al regime, la Rai risponde di essersi semplicemente rifiutata di pagare 1800 euro (lo stipendio mensile di molti dipendenti) per un minuto di monologo.
Non so quale sia la verità, ma pubblico tranquillamente io il testo del monologo (che spero di non dover pagare) per due ragioni:
1) Perché chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno. Neanche di chi pensa che si debba pagare la propria propaganda contro il governo con i soldi dei cittadini.
2) Perché gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto.
Buona lettura».

Si tratta di una replica di una superficialità politica sconcertante. E soprattutto rivelatrice della diffusa mentalità statalista della destra che va oltre il caso  Scurati. E spieghiamo perché.

1) Intanto se è vero come sostiene implicitamente la Meloni (“Non so quale sia la verità”), che la Rai è una cosa, Fratelli d’Italia un’altra, come ha avuto testo  del monologo di Scurati in anteprima?

2) Solo chi soffra di delirio d’onnipotenza – e questo evidentemente è il caso di Giorgia Meloni – può credere che la sua pagina Fb sia letta da  58 milioni di italiani e che per giunta sia la bocca della verità (“perché possano giudicarne liberamente il contenuto”).

3) All’ "ostracizzazione" del Movimento sociale (ammessa e non concessa, almeno dal 1994 in poi), da parte della Rai (“dal servizio pubblico”), si risponde come? Non certo cavandosela con la pubblicazione sulla propria pagina Fb, del testo di Scurati, ma per ragioni di libertà d'opinione, a prescindere diciamo,  associandosi alle proteste delle opposizioni. Cioè mettendo la Rai dinanzi alla proprie responsabilità Non manda in onda? Quindi è censura. Punto. Tutto il resto è fuffa propagandistica meloniana.

Dicevamo della Meloni che non capirà mai il senso della democrazia liberale. Un vero Presidente del Consiglio liberale, come primo storico provvedimento – ad esempio come Milei in Argentina – avrebbe privatizzato la Rai. Finendola per sempre con la retorica circolare destra-sinistra dei "soldi dei contribuenti", delle "censure di stato", e così via. Quindi con il gioco delle parti con una sinistra che in passato ha altrettanto lottizzato. E che si guarda bene dal parlare a sua volta di privatizzazione della Rai.

Ma torniamo a Giorgia Meloni? Appena ha vinto le elezioni che ha fatto? Ha puntato sul controllo totale della Rai. E ora viene a prendere per il culo gli italiani (pardon), pubblicando sulla sua pagina Fb il testo di Scurati. Come se un problema istituzionale (la privatizzazione della Rai) fosse un cosa che  può risolversi a colpi di post e commenti su Fb a proposito dei guadagni dei dipendenti pubblici Rai.

Il senso della democrazia liberale è dettato dalla libertà. E una informazione di stato, di qualunque colore sia (destra, sinistra, rossa, nera, gialla, marrone, eccetera), non sarà mai liberale. Parlare di  pluralismo politico a proposito di  servizio pubblico televisivo  è una contraddizione in termini: il pluralismo è fuori dello stato non dentro lo stato. È una nozione sociologica da studenti al primo anno di scienze sociali.

Purtroppo chi proviene dal Movimento Sociale, partito dalle radici fasciste, quindi statalista al cento per cento, non potrà mai capire la democrazia liberale e la necessità, altrettanto liberale, di rottamare la  televisione di stato. Che non potrà mai essere pluralista proprio perché di stato.

Carlo Gambescia

sabato 20 aprile 2024

Sorelle d’Italia…

 


Il comizio di Arianna Meloni, anzi l’evento (ora si dice così) organizzato ieri a Viterbo, ha un lato divertente.

Il lettore ricorderà quel film di Verdone, con i fratelli e i nipoti che parlavano, praticamente con la stessa voce. Arianna Meloni, sotto questo profilo è un clone di Giorgia (vale, ovviamente, anche il contrario). E la cosa fa sorridere, anche per i gesti, per l’uso delle mani, le espressioni del viso. Stesso marchio di fabbrica.

Meno divertente è la retorica militaresca, tipica della destra missina: “militante”, “esercito di uomini e donne”. Torna, in spirito, il famigerato mito di Cincinnato, evocato, tra le righe, anche da Arianna. Capace di mandare in delirio i “famosi” militanti con passaggi vecchio stile come questo: “ Abbiamo scelto di fare politica senza avere nessuna ambizione, e con questo spirito che abbiamo iniziato a fare politica”.

Nel mondo moderno in cui le élite dirigenti si muovono nell’alveo laico del controllo delle passioni fino al limite del disincanto e apprezzano l’ esercizio sistematico del dubbio, affermazioni del genere o sono false, quindi da temere, perché il bugiardo costruisce castelli in aria che poi crollano. Si pensi, visto che siamo in tema, al Mussolini degli otto milioni di baionette. Oppure sono vere, nel senso che vi si crede veramente. Qui siamo davanti al fanatico, prontissimo a non rispettare le posizioni altrui, al punto di perseguitarle. Si pensi a Hitler che proclamava, di aver dedicato la sua vita al popolo tedesco per poi produrre  macerie in serie.

C’è un dettaglio rivelatore nell’intervento di Arianna Meloni. Quando sottolinea il fatto, come si legge, che “oggi dopo tanti anni, siamo arrivati al governo della Nazione”. A nostro avviso quel “tanti anni” indica la volontà di saltare l’esperienza di Alleanza Nazionale, giudicato come un partito di traditori badogliani, che pure ha governato. E per quale ragione? Per riallacciarsi direttamente al Movimento Sociale, partito dalle saldissime radici fasciste.

Ci spieghiamo meglio. In realtà, la destra di derivazione missina ha comunque governato, come la chiamano loro, la “Nazzzione” , con Fini, Vicepresidente del Consiglio in un governo di coalizione (dal 2001 al 2006). Perché allora, ripetiamo, usare quel “dopo tanti anni”?

Breve cronistoria. L ’espulsione di Fini dal Popolo della Libertà risale al 2010, come pure la nascita del suo Futuro e Libertà. Mentre Fratelli d’Italia, che contestava il neo partito di Fini, nasce nel 2012. Giorgia Meloni lo presiede dal 2014. Insomma, non si parla di cinquant’anni come fu per Alleanza nazionale nel 1994 (primo governo di coalizione con Berlusconi e Bossi): allora sì che erano passati tanti anni.

Insomma, si gioca sull’equivoco. Si lascia che ognuno la pensi come meglio vuole: i “militanti” in buona fede (fascisti per caso) pensano al 2012-2014, quelli in cattiva fede (fascisti per scelta) al 1946. Mentre, cosa invece certa, si tagliano i ponti con il traditore Fini (1994-2014), che volente o nolente tentò di modernizzare e liberal-democratizzare la destra missina, ripetiamo, dalle salde radici fasciste.

Ovviamente, quanto abbiamo appena detto, scontenta sia gli entusiastici sostenitori in buona fede, diciamo così, delle sorelle Meloni, pronti a liquidare i nostri sospetti come frutto velenoso del malanimo, sia gli antifascisti tutti d' un pezzo che non hanno bisogno di prove per credere e che quindi ritengono le nostre indagini una fatica inutile.

Decida il lettore. Solo un’ultima notazione. Questa strategia dell’equivoco, va a saldarsi 1) con quella della rimozione ( Giorgia e ora Arianna Meloni non parlano mai di fascismo, quindi né bene né male), e 2) con una certa andatura (“allure” dicono i francesi) tecnocratica (“italiani giudicateci solo dai fatti” come usa ripetere Giorgia),  e infine 3) con il “missinismo” presentato come democratico solo perché i missini erano membri del Parlamento, sorvolando  su tutto il resto (saluti romani, picchiatori, pistolettate, tentativi golpisti, sfoggio di  idee antidemocratiche e reazionarie eccetera, eccetera).

Il che accresce  i nostri sospetti sull'invenzione di una precisa strategia. Quale? L’uso dell’afascismo, per rendere inservibile l’antifascismo, mescolato al “missinismo”, per rinsaldare le radici neofasciste, e, tocco finale, una  sapiente retorica che gioca sull’equivoco del dire e non dire allo scopo di accontentare tutti: i “famigerati” militanti di Arianna, in buona e cattiva fede, nonché gli elettori creduloni o meno, arringati sempre ieri da Giorgia in Basilicata.

Questa famiglia, in senso politico ovviamente, come fu con la famiglia Mussolini negli anni di fuoco, potrebbe di nuovo causare  la rovina dell’Italia. 

Cioè la rovina della "Nazzzione” come la chiamano le due sorelle d’Italia ( pardon, battuta troppo facile)…

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.open.online/2024/04/19/arianna-meloni-comizio-viterbo-elezioni-europee-video/ .

venerdì 19 aprile 2024

L’importanza del Terzo in politica


Marcello Veneziani, su “La Verità” si lamenta del fatto che oggi non si condivida più la stessa visione della realtà, che poi sarebbe quella della Tradizione (capito, il gioco del "furbetto del quartierino" della destra?).

Invece “Il Riformista”, i cui redattori hanno letto qualche libro in più di Veneziani, propone, andando oltre, volente o nolente, i suoi interessi "terzopolisti", alcune interessanti riflessioni  sul concetto di Terzo e di terzietà in politica. 

Quindi su qualcosa che precede la visione della realtà. Qualcosa che la interseca per addomesticarla, urbanizzarla, incivilirla per così dire. Il “Terzo”, ed è nostra ferma convinzione,  è  civiltà delle buone maniere. Anche altro, ovviamente, come vedremo.

A questo proposito si legga l’ interessante sviluppo dell’idea di Terzo, spalmata (per così dire ) sue due istituzioni: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale.

Istituzioni “centrali”, è proprio il caso di dirlo, dal punto di vista di una visione moderna e liberale della politica. Perché rinviano all’idea dell’equilibrio dei poteri, garantito, per l’appunto, da istituzioni terze rispetto a legislativo ed esecutivo, a cominciare dalla magistratura, anche costituzionale, e ovviamente dal Presidente della Repubblica.

Un’idea classica, questa dell’equilibrio, però ben sviluppata dalla modernità politica. Un’idea che rimanda alla costituzionalizzazione ottocentesca della politica di stampo liberale. Un’idea, si badi, da sempre malvista dalle destra di stampo reazionario e dalla sinistra rivoluzionaria, nemiche del “giusto mezzo” politico da perseguire attraverso l’equilibro istituzionale dei poteri.

Sul piano giuridico, tecnico, il discorso è piuttosto complesso, però dal punto di vista politico, il Terzo, istituzionalmente parlando, deve garantire il rispetto delle regole del gioco. Perciò, per capirsi subito, il progetto della destra che evoca la repubblica presidenziale, punta all’eliminazione del Terzo, riunendo, esecutivo e legislativo, in chiave maggioritaria, nelle mani di un super presidente del consiglio. Insomma, la destra è per il dualismo. Con il rischio aggiuntivo ma non secondario, per dirla tutta, di infilarsi nel monismo istituzionale, visto che si vuole anche addomesticare politicamente il giudiziario.

Pertanto, rivendicare il ruolo della terzietà istituzionale non è un passatempo da intellettuali, perché la posta in gioco si chiama libertà politica. Spazio che la destra, ormai è chiaro, vuole ridurre. Proprio in nome di una visione monista della realtà: quella, quando si dice il caso, difesa da Veneziani. Un brutto soggetto, intellettualmente parlando, che critica il “pensiero unico” progressista, per opporgli il “pensiero unico” tradizionalista.

E qui va fatta una osservazione sull’importanza, dopo di quello istituzionale, del “Terzo” politico. Per capirsi: di una forza di centro. Di “resistenza” a ogni forma di estremismo.

Facciamo un esempio, per capire subito la questione: legge 194.

La destra, con una faccia di bronzo da manuale, asserisce che introducendo nei consultori i consiglieri Pro life non si  farebbe altro che attuare ciò che prevede la legge. Il che è vero. Però qui la domanda è un’ altra: come mai fino ad oggi, nessuno vi aveva pensato? Se non – e qui cade l’asino – gruppi e gruppetti di tradizionalisti con la bava alla bocca, tesi a usare la democrazia liberale contro la democrazia liberale? E assetati di guerra civile.

Non ci si è pensato – e meno male – per una semplice ragione: l’esistenza di un centro, se non politico, culturale, diffuso però tra gli stessi parlamentari, ministri e presidenti che si sono succeduti.

Centro politico significa uso del buon senso per evitare, ad esempio, quella guerra sociale e culturale che i Pro life introdurrebbero nei consultori.

Per essere ancora più chiari: una legge introduce una cattiva idea? Allora il buon senso diffuso tra tutti i partiti, buon senso che potrebbe essere definito di centro, non tiene conto, con eleganza, buone maniere e un pizzico di sana ipocrisia, della norma Pro life. Sicché la lascia cadere in desuetudine. In questo modo si assicura la pace sociale, si vive tutti meglio, non si rischiano le guerre civili fin dentro i consultori.

Ciò spiega bene l’importanza del ruolo di equilibrio e mediazione, tra destra e sinistra, che può svolgere il centro politico. Pensiamo a un partito ago della bilancia, non solo in chiave numerica, ma capace di contrastare a colpi di buon senso diffuso l’estremismo politico, da qualsiasi parte provenga: Woke, antiWoke e compagnia cantante.

La visione comune della realtà, evocata da Veneziani, è quella di destra, e per giunta di una destra reazionaria. Ovviamente a sinistra si risponde con una visione altrettanto netta: ultra progressista a colpi di statalismo all'insegna  del “Silenzio! So io, STATO, ciò che è bene per il cittadino”.

Purtroppo, al momento in Italia, ma il discorso non riguarda solo noi, manca un Terzo, manca un centro politico, manca la capacità di mediazione. Perciò bene ha fatto “Il Riformista”, comunque stiano le cose, a sollevare la questione.

Le vie delle libertà passano per quei partiti che potrebbero essere definiti della “Resistenza” agli opposti estremismi, a ogni “movimentismo” per così dire. “Resistenza” nel senso storico della Francia, tra il 1830 e il 1848, quando un grande statista liberale come Guizot, stretto tra due fuochi, si propose dichiaratamente di “resistere” a reazionari e rivoluzionari. In parte vi riuscì. Ma il popolo non capì fino in fondo l’importanza di un centro politico e inerzialmente votò in massa per il potere plebiscitario di Napoleone III. Che rimase al potere per circa vent’anni fino alla catastrofe di Sedan.

Un particolare: Napoleone III, negli anni Sessanta, capì l’importanza del Terzo, e richiamò i liberali, centristi, al governo. Ma era troppo tardi.

Noi invece saremmo ancora in tempo. Ma dove sono liberali italiani? Al momento vediamo solo quattro o cinque professori, gelosi del loro metro di terreno, che discutono, rinchiusi nel bunker,  persino sul vero colore dei cappellini delle consorti di Hayek.

Carlo Gambescia

 

giovedì 18 aprile 2024

L’ antisemitismo negli Atenei: non c’è peggior sordo…

 

Ci si interroga sull’antisemitismo negli atenei. E soprattutto si vuole risalire alle colpe.

Intanto, il punto è che molti di coloro che a destra (perché ci sono) e sinistra rifiutano il diritto di parola a Israele, non si sentono affatto colpevoli. Anzi ritengono fermamente di essere dalla parte della ragione come le SS che sguinzagliavano, in automatico, i cani nel ghetto di Varsavia per fiutare, catturare e fucilare ebrei. Profilassi sociale. Si guardi la propaganda nazista dell’epoca, in particolare notiziari e documentari.

Insomma, a proposito dei contestatori, molto spesso violenti, non si tratta di una questione di contenuti (ciò che dicono e fanno), ma di forme del pensiero ( cognitivamente, aperte o chiuse).

Si dirà che la prendiamo troppo da lontano, e che comunque si deve fare qualcosa per favorire la libertà d’opinione negli atenei, senza opprimere nessuno, né i contestatori, né gli israeliani.

Perfetto. Se è questo che si vuole, allora ci si deve proprio interrogare sulla forma mentis del contestatore.

Abbiamo appena fatto un parallelo tra le SS e i contestatori di oggi. Qual è il minimo comune denominatore? La mente chiusa dall’ideologia che porta a imporre le proprie idee anche con la forza.

Che cosa significa mente chiusa? Per metterla sul lato psicologico è l’incapacità di guardarsi allo specchio. Di guardarsi dal di fuori, di relativizzare le proprie idee.

I nazisti e gli antisemiti, pardon ora si fanno chiamare antisionisti, ieri come oggi, puntano alla distruzione del popolo ebraico, nel quale vedono il nemico da distruggere. E tutto questo è creduto e vissuto in chiave  assiomatica.  Gente del genere neppure sa dove sia di casa il mea culpa.

Un inciso: l’antisionismo non è che la naturale prosecuzione dell’antisemitismo: se gli antisemiti nazisti negavano il diritto di esistenza dell’ebreo in quanto tale, gli antisionisti negano il diritto di esistenza dello stato-nazione ebraico, o comunque a maggioranza ebraica. La sostanza è la stessa: l’eliminazione di ogni traccia di ebraismo in forma di movimento (il mondo ebraico della diaspora), come di istituzione (lo stato di Israele). Dalla profilassi sociale (nazisti) alla profilassi geopolitica (antisionisti). Sempre di “profilassi” si tratta.

E non sia dia ascolto allo storiella dei due popoli, due stati. Per Israele non cambierebbe nulla. Anzi, con il nemico statalizzato alle porte, sarebbe ancora peggio. Il palestinese andrebbe invece modernizzato, dove necessario secolarizzato, e integrato. Ma questa è un’altra storia.

Facciamo solo un esempio di questa chiusura mentale. Si rimprovera a Israele di opprimere i palestinesi. Benissimo. Andiamo a vedere i fatti.

La popolazione israeliana, inclusa una forte minoranza araba (circa 1 milione e mezzo) è di circa 10 milioni. Per contro la popolazione dei paesi aderenti alla Lega araba ammonta a circa mezzo miliardo: 500 milioni. I palestinesi (come membri dello stato della Palestina (Cisgiordania e striscia di Gaza) sono circa 5 milioni (per inciso nel 1948 i palestinesi erano poco più di 600 mila: dov’è il genocidio del popolo palestinese?).

Gli ebrei sparsi nel mondo, quindi parliamo dei seguaci dell’ ebraismo (la religione), sono circa 15 milioni, magari alcuni con la doppia cittadinanza: però si tratta di cifre minime (i palestinesi invece sono circa 6 milioni, più i 5 già citati sopra). Per contro gli islamici nel mondo sono quasi 2 miliardi (*).

Israele  è  un' isoletta circondata da un mare di nemici.

Ora guardarsi allo specchio, da persone normali senza alcun pregiudizio, significa, capire, che non è Israele che opprime gli arabi, ma gli arabi che hanno le carte in regola, a cominciare dagli sviluppi demografici, per opprimere Israele.

Lo stato di Israele si difende come può. Se abbassasse le armi verrebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra. Piaccia o meno, sono rapporti di potenza. Qui l’importanza dell’appoggio, anche militare, dell’Occidente, per controbilanciare arabi e islamici, quindi anche non arabi come gli iraniani.

Rifiutare questa realtà – in pratica i fatti – significa possedere una mente chiusa, diremmo oppressa dall’ideologia. Ed è questo l’atteggiamento dei contestatori degli atenei italiani che rifiutano il diritto di parola a Israele nel nome dell’ideologia antisemita-antisionista.

Si può fare qualcosa? Certo. Difendere il diritto di parola dello Stato d’Israele e dei suoi rappresentanti a ogni livello. E soprattutto ristabilire la verità: che il cattivo non è Israele.

Purtroppo, come recita il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire…

Carlo Gambescia

 (*) Sono dati, a prescindere dai siti specializzati (Ispi, Limes ad esempio, frequentati dagli specialisti), a portata di clic su Internet per voce. Quindi tutti potrebbero facilmente documentarsi. Eppure…