domenica 18 febbraio 2018

Sociologia dei Social
Il trionfo di  Narciso


La letteratura scientifica  sui  Social Network è considerevolmente aumentata negli ultimi anni. Mancano però le tipologie interpretative, nel senso di una entomologia sociologica delle varie specie di fruitori delle Reti Sociali. E soprattutto è assente, forse per il timore di dire cose spiacevoli a livello scientifico,  l’individuazione di una categoria-base, concettualmente parlando, che possa sintetizzare il “profilo medio” del fruitore. Nulla però di generico o impressionistico (come il titolo, anticipiamo, potrebbe far pensare).
Da dove cominciare? Innanzitutto, anche nei Social, inevitabilmente, la struttura è piramidale:  è la quantità di like a indicare le gerarchie. Il che però, da fattore assai sollecitante per l'Ego, fluttuando  tra i contenuti (i più diversi), polarizza e potenzia la preferenza per l'Io dei fruitori.
Avrà più like  - o consenso -   chi  riuscirà a parlare al mondo.  E come si parla al mondo? Compiacendolo. Insomma, si dicono  quelle cose che il mondo vuole sentirsi dire.  Come asseriva Ortega,  il miglior conferenziere  - tanto per far notare che la struttura sociologica degli uomini non cambia -   è quello che  dice  cose gradite al suo pubblico. Attenzione però, si compiace, anche dispiacendo.  Il pro e il contro qualcosa, dal punto di vista della formazione dei gruppi sociali, sono strutturalmente uguali.  Ogni  Pagina di Fb, ad esempio, grazie alla mano invisibile delle affinità e degli interessi dei singoli,   si trasforma in  una specie di  cassa di risonanza delle idee condivise da un gruppo di persone.  Sicché, secondo il criterio hobbesiano,   le varie pagine non comunicano, anzi collidono,  salvo temporanee alleanze tattiche.  Quindi il contesto è pre-sociale (nel senso del contratto),  tribale e divisivo.  Nulla di nuovo, si ripete su di un piano diverso,  quel fenomeno, che qualche anno fa Maffesoli, definì tipico delle nuove tribù sociali, legate alle mode, ai bisogni immateriali, quindi diverse (per contenuti) ma uguali (per struttura).    
In questo quadro strutturale, che non facilita l’approfondimento,  ma soltanto  la ricerca di conferme alle proprie idee, qual è la categoria  concettuale,  l’"etichetta", se si vuole, sotto la quale raggruppare  i  “fruitori medi”?
Il narcisismo sociale,  nel senso dell’auto-convinzione di dire cose originali e interessanti su di sé e sul mondo.  La tipica sovra-rappresentazione di se stessi,  che rinvia al deserto di coloro che non hanno conoscenze approfondite,  cosa  del resto non alla portata di tutti: la cultura, soprattutto se specialistica, è naturalmente aristocratica (altro che intrattenimento...). Insomma,  non è questione di like.   Il resto del  "lavoro"  sui Social viene svolto, come in tutti i processi sociali,   dalla mano invisibile degli interessi e delle affinità.   
E qui va fatta una  osservazione interessante.  In letteratura, da quasi un quarto di secolo,  si parla sempre più di centralità del lettore  rispetto alla centralità dello scrittore. Esiste, insomma,  un populismo letterario, che ha radici, almeno negli anni Settanta (“L’immaginazione al potere”)  che, molto prima del grillino “uno vale uno” (in nome quindi di  un principio politico di tipo democratico), ritiene il lettore come un soggetto creativo capace di "reinventare" il libro che legge.  E questo, senza avere alcuna preparazione specifica ( se prima non si conosce la sintassi, poi non si può reinventarla). Cosa sarebbe,  spesso  invece si legge , un libro senza lettori?  Il che ha un suo fondamento economico, ma  non letterario.  Come del resto prova  la storia della  fortuna  di molte opere che è  storia di libri e autori,  dimenticati, poi riscoperti.
In realtà,  esiste un populismo letterario che deriva dal populismo politico,  così come esiste,  quale prolungamento dei primi due, il   populismo Social.  E le origini del  fenomeno, sono in quella rivoluzione del narcisismo mondiale giovanile che fu il Sessantotto.  
La centralità del lettore, del cittadino "democratico", del fruitore dei Social, come auto-consapevolezza data (“Io sono Io”), in realtà  resta un argomento puramente retorico,  una forma di manipolazione per persone comuni  ( che attraversa le diverse coorti, dai millennial agli esodati), persone  che non aspettano altro,  pur di essere  soddisfatte nell’Ego.   Si potrebbe parlare, di un naturale processo di istituzionalizzazione dell’auto-convincimento di  massa  a  sfondo narcisistico. E se è di massa, che individualismo è?  Che valore può avere la formuletta "Io sono Io"?
In fondo,   Facebook è  il  risultato delle osservazioni sociali di  due personalità geniali:  Adam Smith e Mark Zuckerberg.  Un processo che però lungo la strada  ha incontrato la vulgata democratica pura. Diciamo pure  che tra Smith e Zuckerberg si è intrufolato quel "complessato" di Rousseau.   Infatti, ciò che si dice delle aristocrazie, come trappole per narcisi ( e che vale per i periodi di decadenza), in realtà  va  ricondotto   al concetto di democrazia  pura, diretta,  come forma di narcisismo di massa, dove, semplificando,  in nome dell’uno vale uno, e quindi di  una inevitabile e coerente logica interna,  non si può non dare la parola a tutti, anche al più imbecille.  E i Social,  ne sono l’ultima, per alcuni peggiore, manifestazione.
Si dirà,  è il prezzo che la virtù (democratica) deve pagare al vizio (l'imbecillità). Giusto. Però dove si ferma l'imbecillità? Esiste la parola fine?   Sul punto,  la logica democratica tace.
Ovviamente, poi la storia, che è aristocratica, si vendica.  

Carlo Gambescia 
                    
            

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