venerdì 15 dicembre 2017

Il Senato approva il "testamento biologico"
Conquista di civiltà?


La legge approvata  ieri dal Senato,  sulle   "Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l'accanimento terapeutico", può essere definita una conquista di civiltà?  Oggi c’è chi la definisce così. Purtroppo, non abbiamo potuto prendere visione del testo, perché non ancora pubblicato (*), ne sappiamo, dai giornali,  quanto i lettori.
In verità il punto è un altro  e riguarda ciò  che si può definire motorizzazione del diritto pubblico  attraverso la moltiplicazione dei diritti privati. Ci spieghiamo subito.
Se si fa collimare la civiltà con lo sviluppo dell’organizzazione legislativa dei diritti individuali, addirittura intimi, come  quando si tratta di  vita e di  morte,  allora ieri si è raggiunto il  punto più alto del welfare dei diritti.  Se invece si  prende come metro di misura della  civiltà,  l' assenza di interferenze organizzative  al libero dispiegarsi della libertà umana,  ieri si è  toccato il punto più basso. Esageriamo?  Il lettore presti  attenzione: chi dice diritto, dice organizzazione, chi dice organizzazione, dice burocrazia, chi dice burocrazia dice predominio  di  norme e  regolamenti sulla libertà umana.   
Da ciò che  riferiscono i giornali,  la legge,   pur non  prevedendo esplicitamente  il diritto di obiezione del medico al  Dat (Disposizioni  Anticipate di Trattamento),  nel caso di rifiuto alla sospensione le cure, lo assolve da qualsiasi responsabilità penale e civile.  Il che sul piano della libertà di coscienza è nobilissimo.  Tuttavia,   già  la stampa cattolica - come è suo diritto, per carità -   parla minacciosamente  di  “obiezioni” massicce.  Pertanto, come già capitato  con altre pratiche, potrebbero mancare i medici disposti ad applicare la legge.  Il che, in un sistema pubblico come quello italiano,  rischia di innescare contenziosi  politico-amministrativi, ad esempio  per la serie "chi cambia di mansione chi".   
Inoltre, la legge stabilisce, il consenso informato -   altra cosa nobilissima, per carità -   in particolare nel caso di patologie dalla prognosi infausta. Il che però significa che  i medici saranno obbligati a conferire con il paziente.  Ma su quali  basi cognitive?  Quelle  di una comunità scientifica che non è d’accordo su ciò che significa "accanimento terapeutico"?  E per il semplice fatto che  la scienza medica è in continua trasformazione?  
In sintesi: da un lato abbiamo una decisione individuale-esistenziale, quella del paziente,   decisione che come prevede la legge può cambiare; dall’altro però, abbiamo la scienza medica che “marcia” a una velocità superiore, o comunque diversa (perché ragiona sui grandi numeri)  a quella  che scandisce le singole esistenze (limitata e basata sui "piccoli numeri" della famiglia, degli amici,  del lavoro).
Attenzione però, perché non è ancora finita:  in mezzo, diciamo così,  tra scienza e individuo,  c’è un’organizzazione, quella sanitaria,  che per agire, nel senso di sospensione delle terapie,  ha necessità di requisiti minimi, di standard insomma, dettati però da cognizioni medico-scientifiche  in continua evoluzione.
In pratica, si legifera sull’acqua.  Per parafrasare  Eraclito, non  ci si  bagna mai due volte nelle acque dello stesso fiume.  La civiltà, come del resto la società,  a cominciare da quella scientifica,  è qualcosa di indefinibile, di inafferrabile, perché  legata a  temporalità e velocità assai diverse,  proprio perché in continuo movimento.   L’organizzazione, invece,  ha necessità di acque stagnanti. Insomma, di strutture decisionali e di uomini, sempre uguali a se stessi, prevedibili e iterativi nei comportamenti. Si potrebbe parlare di immobilità figurativa.  Di qui,  i sempre possibili conflitti tra  forma (organizzativa), pur necessaria, e vita (reale), altrettanto e forse ancora più necessaria. Siamo davanti alla gigantesca e inarrestabile  lotta  tra  il  "dover essere" organizzativo, statico,  e l’ "essere sociale", dinamico,  nelle sue più diverse manifestazioni.   
La motorizzazione organizzativa del diritto (e dei diritti), di cui parlavamo all’inizio,  dietro la melliflua  maschera  welfarista, “del più diritti, più felici”,  non potrà mai andare più veloce, per così dire,  del  flusso vivente del divenire sociale dettato  dagli individui che  compongono la società:  con i loro interessi e valori,  dall'economia alla scienza,  sempre mutevoli.  Parliamo di  uomini e donne che sono  il vero  "motore" di ogni società,,  il cui   brusio ne rappresenta lo sfondo sonoro, inavvertibile. Detto altrimenti: è impossibile sapere ciò che  sia  bene per ogni singolo individuo. Figurarsi poi,  fissarlo per via legislativa ...
Perché allora non prenderne atto?  Come? Meno leggi, meno organizzazione  E soprattutto più delegificazione.  Ad esempio, per chiamare  onestamente  le cose con il loro nome,  sarebbe bastato, depenalizzare l’ articolo 580  del Codice Penale  sull’istigazione o aiuto al suicidio.     

Carlo  Gambescia


(*)  Nel momento in cui scriviamo:  http://www.senato.it/versionestampa/stampa.jsp?thispage