domenica 10 settembre 2017

   Treccani,  Machiavelli, Berlusconi e Fabio Brotto...  
   Coraggio, un approccio sociologico


Con Fabio Brotto ci si frequenta da anni sui Social. Già professore di Liceo dalla vasta cultura, alla quale unisce  grandi capaci  intuitive e argomentative,  frutto di  immense letture in varie lingue, e cosa più importante, ben metabolizzate. 
Pertanto, ieri  ho subito   accolto e rilanciato, sulla mia pagina Fb il suo post sul "Coraggio".

CORAGGIO INTELLETTUALE. Perché il coraggio intellettuale è così raro? E perché così infrequente è il coraggio degli intellettuali? In questo ceto prevalgono di gran lunga il conformismo, lo spirito di gregge e la codardia. Questa mattina, leggendo un post dell'amico Carlo Gambescia, mi è venuto in mente questo pensiero: Se ne avessi il tempo e la forza, mi diletterei a scrivere un trattatello "Del coraggio fisico e di quello intellettuale". Poiché in tutta la mia vita ho constatato il primo essere molto più abbondante e diffuso del secondo. Troverai molti più uomini pronti a battersi contro la polizia in assetto di guerra che membri del ceto intellettuale pronti ad affrontare apertamente uno scontro col proprio superiore, o con chiunque essi avvertano come in grado di nuocer loro. Perché tanti tra insegnanti, e cattedratici vari siano affetti da codardia congenita, non lo so. So però che Platone sosteneva giustamente che la vigliaccheria è generatrice di ogni altro vizio.
E certo il mondo è pieno di persone che hanno paura delle ombre, e nella loro mente danno sostanza alle cose che non sono, e le temono. E non temono invece ciò che è reale, realissimo, che è dentro di loro e corrode il loro spirito e la loro mente.    (Fabio Brotto)

Va subito  precisato che il suo post prendeva spunto  da  un mio articolo sul “calcione” sferrato  a un Berlusconi, già  politicamente morente, da  un’istituzione prestigiosa come Treccani, contribuendo a   trasformare  una  celebrazione di Machiavelli  nell’ ennesimo atto dovuto di anti-berlusconismo (*) . Dispiace dirlo, ma le cose stanno così.      
Al posto di Alessandro Campi, che  ha curato mostra e catalogo,  ci saremmo subito dimessi. Altro che figurare nel comitato scientifico  di un’ operazione, per altri aspetti senz'altro meritoria, che però - ripetiamo - ha dovuto pagare la sua libbra di carne  all’istituzionalizzazione della caccia al Cavaliere. Del resto, per dirla con Manzoni,  “il coraggio, uno se non ce l’ha, mica se lo può dare”: la carne è debole, insomma.
E qui veniamo al post di Fabio Brotto.  Che abbiamo  letto e  apprezzato.  Tuttavia,  il sociologo non può non  muovere da premesse diverse. Quali?  Deve ragionare  del coraggio, non in quanto tale, se si vuole filosoficamente, bensì come fenomeno, per l’appunto  sociologico,  contestualizzandolo  all’ interno della  società di massa.  La chiave è la conformazione sociale ("di massa") non quella economica (come invece  riteneva, errando,  Bourdieu: la società sovietica, altrettanto "di massa", aveva gli stessi problemi della nostra, ma amplificati dallo strapotere del partito unico). Parliamo di  un sistema sociale caratterizzato da fenomeni mimetici e di emulazione collettiva.   Dove si privilegiano, sul piano della deferenza e della mobilità sociali, altri valori: dall’umanitarismo al pacifismo. Parliamo, per giunta,  di  una società fortemente burocratizzata e  segnata  da dinamiche conflittuali, politicamente sublimate, legate però  a contrasti, altrettanto neutralizzati, tra gruppi di pressione,  politici, economici, culturali  e sociali,  vincolati  però, a loro volta, a  forme condizionali di fedeltà,  frutto di accordi pubblici e privati, anche taciti, fonti, rispettivamente, di  burocrazie effettive e dell’anima. Insomma, non c'è la guerra sociale, in senso tradizionale, ma molto fumo,  e tossico.         
Nel suo insieme, anche solo per autodifesa,  con ricadute però nella psicologia collettiva, la società incoraggia -  oggettivamente -  nella migliore ipotesi il quietismo, nella peggiore il conformismo. Sicché il coraggio, non viene assolutamente favorito  socialmente,  né  sul piano fisico, né su quello intellettuale,   se non quando -  attenzione -   lo si  collega  a valori come il pacifismo e  l’umanitarismo, oppure lo si emargina   nell'ambito delle attività  sportive, ludiche, ricreative (anche estreme).  
In questo senso, per dirla con Fabio Brotto,  il coraggio, anche sociologicamente parlando, è l'ombra di se stesso. Oggi, l ’uomo coraggioso è colui che si sacrifica per gli altri. L’atto è totalmente sganciato dal valore militare,  per non parlare dello spirito guerriero.  Si pensi, ad esempio,  alla metamorfosi morale subita  dagli eserciti,  trasformati in strumenti di pace e  assistenza alle popolazioni (ovviamente, poi la verità si vendica, ma questa è un’altra storia…). Ecco  tutto ciò  che resta  della morale post-cristiana e post-socialista: una società,  non più all'ombra delle spade, ma dei cerotti,  che, al  massimo,  valorizza, anche in chiave post-liberale (purtroppo), la welfarizzazione del coraggio.  Il che però  non significa  che si debba celebrare la società guerriera, anche perché, considerate le premesse strutturali,  non potremmo non trovarci dinanzi  la medesima società di massa, ma militarizzata.  
Pertanto,  dovrebbe  ora risultare chiaro, che all’interno di una struttura burocratica come Treccani, collegata per  l’occasione  a un mondo altrettanto burocratico come l’Università,  in un contesto di conflitto accanito per le risorse (materiali e immateriali, dai finanziamenti alle prestigiose direzioni culturali), prevalga il conformismo, come regola dell'obbedienza weberiana,  verso le logiche  politico-culturali dominanti, presentate come astratte e razionali.  Siamo dinanzi alle   logiche iterative di una specie di welfare della deferenza.  Di qui, come  omaggio dovuto  ai potenti, che redistribuiscono pani e  pesci,  la “pedata” a Berlusconi.
Gli stessi attori sociali ( i professori burocratizzati e i burocrati "professoralizzati"),  qualora cambiasse la logica politico-culturale dominante,  sarebbero  ben  disposti  a vezzeggiare il redivivo Silvio  Berlusconi. Come impone il welfare della deferenza.  E la riprova, umanissima riprova,  di questo atteggiamento,  che l’amico Roberto Buffagni, buon lettore di Manzoni, ha definito  del “Servo Encomio & del Codardo Oltraggio", è nel fatto che la stragrande maggioranza dei  miei tremilacinquecento “amici” di Fb,  molti dei quali  a conoscenza di fatti e misfatti,  si sono ben guardati, dall’intervenire o rilanciare.  Perché? Mai esporsi.  “Tengono famiglia”.  E quello che dicono in privato, si guardano bene dal riaffermarlo in pubblico.  
Del resto, la società non incoraggia…  La carne è debole… Berlusconi, politicamente,  mezzo morto… Avanti il prossimo.
                Carlo Gambescia