martedì 8 agosto 2017

Un giudizio di Berlusconi sui Cinque Stelle
Perché negarlo?  
Il Cavaliere di politica non ha mai capito nulla



 «Non cadiamo nell'equivoco: non sono dilettanti, sono i veri professionisti, anzi i mestieranti della politica. 
Sono semmai dilettanti nella vita, la gran parte di loro non ha mai lavorato, non ha mai realizzato nulla, non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi prima di entrare in Parlamento. 
Per loro la politica è il mestiere per mantenersi, e infatti sono disposti a dire e fare qualsiasi cosa, ad accettare i continui cambiamenti di linea dei loro capi, pur di conservare il posto in Parlamento. 
La loro politica è pura tattica, senza valori».


Così Berlusconi sui Cinque Stelle.
Vogliamo parlare di cose serie?  Il Cavaliere si è sempre dichiarato liberale.  Che c’è di liberale in questo giudizio? 
Per un liberale, il professionismo politico  è un’ importante componente della divisione sociale del lavoro.  A ciascuno il suo: al parlamentare la politica,  al dottore i  pazienti, all’avvocato gli assistiti, all’imprenditore l’impresa,  all’operaio la catena di montaggio, eccetera, eccetera. Rieptiamo,  a ognuno la sua specialità.  Il professionismo, se si vuole l’ineguaglianza professionale,  è alle origini della civiltà liberale  mentre l’egualitarismo, anche professionale,  resta  alla base di ogni totalitarismo.
Ora, dire che la bravura nel proprio  lavoro, sia l’unica chiave d’accesso alla politica, significa  fare il gioco dell’antipolitica egualitaria  a sfondo tirannico:  una visione   che azzera il ruolo dei partiti e delle istituzioni rappresentative, classica conquista della civiltà liberale,  per privilegiare, in modo contraddittorio,   dal un lato i tecnici, i professionisti della vita (come fa  Berlusconi, ad esempio), dall’altro,  la provenienza dalla vita, però la vita più semplice possibile, quella dell’uomo della strada, visto, curiosamente.  come "perfetto professionista"  proprio perché "dilettante", quindi  "esperto", in qualche modo,  "del senso comune"  (come rivendicano i pentastellati).      
Tuttavia, lo stesso Berlusconi, bravissimo imprenditore, quindi un professionista della vita (e del lavoro), ha provato di essere un pessimo politico. E, per giunta, resta colui che,  con il suo dire antipolitico, ha facilitato la strada (“colpi di stato” o meno) a tecnici, professionisti della vita,   autodefinitisi o definiti  migliori di lui (Monti & Company).  Come, per contro,  hanno provato  di essere pessimi politici anche i  dilettanti-professionisti di Cinque Stelle. 
L’antipolitica, mai dimenticarlo, non porta da nessuna parte. Spiana solo  la strada al predominio di due opposti  eccessi sociologici:  tecnocrati e dilettanti.  
Quanto  al criterio dell’obbedienza assoluta al capo, evocato da Berlusconi (che, pur essendo un professionista della vita, ne sa qualcosa…), va precisato che il fideismo a Cinque Stelle  non dipende solo dalla volontà “di conservare il posto in Parlamento”.  Nessuno nega che chi non abbia altro lavoro, si “attacchi” a quello che ha.   Però,  sarebbe semplicistico,  non ritenere il fattore lavoro,   solo una componente tra le altre,   insieme  al carisma, al settarismo, al gregarismo, tutti fattori sociologici  che contraddistinguono la militanza a Cinque Stelle.  E, in termini prospettici, quella totalitaria.
Liquidando i grillini come inetti e scansafatiche, Berlusconi commette due errori complementari: uno,  sottovaluta la carica totalitaria  insita nel  movimento pentastellato;  due, sminuisce il ruolo del professionismo politico, riducendolo  alla percezione di uno stipendio.
Per dirla con Weber, il  Cavaliere svilisce il professionismo politico al vivere di politica, senza capire l'importanza del  vivere per la politica. O comunque sia, egli rifiuta qualsiasi prudente mix tra queste due concezioni. Raccomandato invece, vivamente, da Weber, che non era proprio l'ultimo arrivato.   
Sicché,  Berlusconi, grande esperto della vita (e pure di un'altra cosa),   prova, definitivamente,  di non aver mai capito  nulla di  politica.  E neppure di liberalismo. 

Carlo Gambescia