martedì 2 maggio 2017

Il Primo Maggio dei sindacati a Portella della Ginestra
Il complottismo della Triplice



Quando l’Italia avrà finalmente un sindacato moderno?  Cioè che non parli di piani industriali, concertazione e nazionalizzazioni?  Ma di piani pensione individuali, premi  legati alla produttività , partecipazione agli utili aziendali? E poi,cosa determinante,non complottista. 
Un esempio?  La scelta di “celebrare” a Portella della Ginestra, il Primo Maggio (1).  Parliamo di una opzione altamente simbolica, in chiave complottista, naturalmente,  Una strage che nel romanzo criminale della Storia dell’Italia repubblicana scritto dalla sinistra comunista e post-comunista rappresenta la “madre di tutte le stragi di stato”.  Sintetizzando, da Portella a Piazza Fontana, Ustica e oltre.  Un quadro a tinte fosche   nel quale la sinistra fa rientrare politici, burocrati, militari, giornalisti, intellettuali, insomma tutto coloro che  dubitavano della democraticità del Pci. Per  tenerli sub iudice ( e non solo in senso figurato...).  Come è stato ben scritto,

“si ebbe [in particolare negli anni Sessanta] una ripresa su larga scala della ‘cultura dell’antifascismo’, ma in un tono crescente di recriminazione e polemica, che vedeva nel quindicennio successivo al 1945 solo una ininterrotta involuzione antidemocratica, un tradimento delle speranze resistenziali. Diventava egemonica una lettura della storia repubblicana post-1947 come una serie di fallimenti e di distorsioni, scaturite dalla volontà di tenere al margine le forze che veramente erano state il nerbo dell’antifascismo: ne era derivata l’Italia “gaudente e volgare” del boom economico, priva di  ideali e memorie” (2)

Argomentazione che da  politica, si è prima  fatta economica (anticapitalismo), poi giudiziaria ( i "teoremi").  Insomma,  un “giochino” politico-retorico, con pesanti risvolti reali.  Si pensi a quel pippone  (pardon) politico-giudiziario delle trattativa stato-mafia inizio anni Novanta (dell’altro secolo…),  approdato praticamente al nulla di fatto, eccetto per le  piazze televisive: quelle del crucifige a gogò.   
Diciamola tutta:  per la  sinistra, in particolare lo zoo comunista e post-comunista,  la verità,  se pure esisteva una verità nascosta, era ed è una variabile dipendente.  Il Pci e  i suoi eredi ( si pensi alla caccia grossa a  Berlusconi e ai tentativi di presentarlo come un capo di Cosa Nostra)  interessava e interessa mettere sotto processo gli anti-comunisti.  Coloro, ripetiamo,  che dubitavano  - orrore! - della democraticità del Pci e che tuttora dubitano di una  sinistra populista e giustizialista.
La grande questione del Mandante (con la maiuscola) -  una specie di entità fantasmatica, gelatinosa, lovecraftiana, per Portella toccò a Scelba -   serviva e serve  per  giocare al rialzo,  per afferrare il potere, nudo, comunismo o meno.  Tradotto: Fase 1:  “Sì, sì, hanno  preso gli esecutori, ma non i mandanti, eccetera, eccetera”. Fase 2, dopo un arresto, magari importante: “ Sì, sì,  potrebbe essere uno dei mandanti ma la vera ‘cupola’ è  altrove, eccetera, eccetera”. E così via, per un numero enne di fasi.  Per inciso, si pensi all’accoppiamento poco giudizioso tra questo tipo di mentalità e l’immaginario politico del Movimento Cinque Stelle, che, senza dubbio, rinvia all’universo del complottismo post-comunista (esiste però  anche una derivazione di destra neo e post-fascista).
Tornando sul punto specifico,  si tratta di un' argomentazione a strati, che partendo da una premessa sbagliata -  che debba esistere un mandante politico unico -  si avvita però logicamente su stessa:  perché il mandante deve essere, a prescindere dai singoli episodi, sempre lo stesso:  il potere politico, ovviamente nella mani dei conservatori anti-comunisti,  in combutta con  la mafia, i servizi segreti italiani e stranieri,  la massoneria, la trilaterale, eccetera, eccetera. Le singole verità sui singoli episodi  non interessano più di tanto, perché si vuole dimostrare l’esistenza di un disegno eversivo generale che colleghi tutto,  dalla A alla Z.
Ecco il vero punto: il "disegno" unico.  Siamo davanti alla purissima teoria del complotto, applicata alla storia della Repubblica, dalla quale è difficile difendersi, perché, come ogni teoria cospirativa,  è frutto di  a priori ideologici,  ossia pre-assunti cognitivi.  Contro i quali le armi del ragionamento sperimentale  nulla possono: per il complottista,  chi  nega il complotto - il "disegno" unico -  è complice dei cospiratori, e più lo nega, più è complice.
Ecco quel che la Triplice ha celebrato a Portella della Ginestra. Altro che i settant'anni. Complimenti vivissimi.                                         
 Carlo Gambescia



(2) R. Pertici, Il vario anticomunismo italiano (1936-1960): lineamenti di una storia, in L. Di Nucci, E. Galli della Loggia ( a cura di), Due nazioni. Legittimazione e delegittimazione nella storia dell’Italia contemporanea, il Mulino, Bologna 2003, pp. 332-333.