venerdì 7 aprile 2017

Gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili  verso la base aerea siriana da cui si presume sia partito l'attacco con armi chimiche 
Trump sferra l’attacco




Il problema non è  se  la rappresaglia di questa notte ordinata dal presidente Trump sia giusta o meno.  Ma se sottenda o comunque implichi una strategia per riportare l’ordine in Siria e in Medio Oriente. Le agenzie  riferiscono  che i russi  sono stati  avvisati in anticipo dagli americani dell’attacco condotto con missili lanciati da due navi Usa  nel Mediterraneo. Tutto qui. 
L’evocazione  trumpiana delle ragioni umanitarie (“Nessun bambino dovrebbe soffrire”) è puro obamismo, e per andare ancora più indietro rinviano a Woodrow Wilson.  Mentre  i missili “al telefono” rimandano invece  a Reagan e Teddy Roosevelt.  Ovviamente stiamo semplificando. 
Però la vera domanda, ripetiamo, è se esiste una strategia. Si vuole  rimuovere  Assad?  Per sostituirlo con chi? Si vuole mettere nell’angolo la Russia?  Per sostituirla con chi?  Quanto al  “mettere fine al flagello del terrorismo”, concetto, già abbastanza nebuloso,  più volte  ribadito da Trump, l’enunciazione non basta: servono  alleati fedeli, o comunque partner affidabili,  e soprattutto una precisa strategia sul come combatterlo. Non basta sparacchiare, come un cacciatore solitario alle prime armi, contro un mucchio di anatre.   
L’impressione  - quindi possiamo sbagliare -  è che si  tratti di un puro episodio muscolare  con lo scopo di creare un diversivo.  Pertanto,  se retro-pensiero c’è,  siamo dinanzi all’antica metodologia, tra l’altro cara ai dittatori, di risollevare le proprie sorti interne,  puntando il dito contro il capro espiatorio esterno.
L’altra nostra  impressione è che forse,  a causa della scarsa qualità dei suoi collaboratori politici, Trump si stia affidando troppo al potere militare. Il che comporta un problema, non da poco.  Che non riguarda  l’uso della violenza in quanto tale,  spesso necessario come deterrente e strumento per costringere il nemico a scendere a patti, bensì le modalità, o meglio gli automatismi che accompagnano l’uso della violenza.   
I militari  sono i maestri delle risposte protocollari.  Ci spieghiamo meglio. Lo stratega militare, ragiona in termini di noto, usa ciò che conosce, semplificando, ragiona da burocrate:  ad A si risponde con B, a B con C, e così via. Si chiama escalation - attenzione - dello sforzo militare. Tradotto: Assad si diverte con gli aeroplanini, noi con i missili Così lo costringiamo a terra.  Come spiega il manuale di strategia militare a pagina due.  
Il vero  stratega politico invece ragiona  in termini di noto e di ignoto,  o comunque, se tale, si sforza di essere  sempre essere un passo avanti (o indietro) al potere militare, insomma  non è un burocrate,  ma un  “creativo”,  perché deve sempre  proporsi di   inventare, o comunque reinventare, qualcosa di "unico". Come? Tentando, ogni volta,  di coniugare "creativamente" impegno militare e strategia politica: ad A si può rispondere con B ma anche con C e soprattutto si può partire dalla lettera Z. Oppure, addirittura,  usare un altro alfabeto, e così via.  Insomma - si noti l'uso della micro-scala... -  al piccolo chimico non va opposto il piccolo dinamitardo, ma il piccolo Napoleone. 
L’impressione è che Trump, per restare in metafora,  politicamente parlando,  non sia molto alfabetizzato. Il presidenti citati, Obama, Reagan, Woodrow Wilson, Teddy Roosevelt, pur usandolo, hanno sempre tenuto il potere militare a distanza.  Erano, comunque, alfabetizzati.
Ovviamente,  Trump  non è un minus habens, come qualcuno invece ritiene.  Insomma si  parla sempre di un eccellente  manager,  quindi  potrebbe sempre imparare l'alfabeto strategico della politica.  Ma a spese di chi? 

Carlo Gambescia