martedì 21 marzo 2017


La riflessione
Tradimento delle élite?
Sì, verso la democrazia liberale


Élite contro popolo. Suona bene. E basta.  A questo pensavamo,   assistendo al dibattito televisivo tra candidati  all’Eliseo. Purtroppo,  in Francia, come ormai altrove,  il voto viene presentato, soprattutto dai partiti  estremi, quelli che hanno civettato con il fascismo e il comunismo  e che  oggi si sono dati una riverniciatura populista, viene presentato, dicevamo,  come un voto pro o contro il popolo, pro o contro la globalizzazione, pro o contro la sovranità nazionale.
Chi conosce la storia del Novecento, e più generale i topoi demagogici dei  nemici dell’esperimento liberale, non può non scrollare il capo.  Élite contro popolo?  Come  se  i partiti anti-liberali (perché di questo si tratta),  si pensi al Fn o il M5s,  non avessero quadri,  leader,  ferree  regole interne,  non fossero insomma, strutturati, come tutti i fenomeni politici,  in governati e governanti. Michels,  parlò, a ragione, di ferrea legge dell’oligarchia. L’unica forma possibile di democrazia è di testa. Come scrive Sartori,  è nello scegliere liberamente e con ponderazione la élite che ci governerà.  E ovviamente nell’alternanza tra élite di governo.  Tutto qui. E non è poco, storicamente parlando.
Purtroppo, la politica, con ciclicità impressionante, torna a farsi non con la testa  ma  con la paura. E proprio nelle democrazie, dove una volta scivolati sul piano inclinato della demagogia, ogni  menzogna  sembra essere  buona pur di conquistare voti e afferrare il potere. Di conseguenza,  quando viene meno il senso di responsabilità,  ecco che i partiti  con un inquietante passato fascista e comunista o imbevuti di feroce  e stupido  populismo,  insomma i  nemici da sempre  dell'esperimento liberale, rialzano il capo,  evocando  i  fantasmi del capo carismatico, del nazionalismo, del  protezionismo. Spettri ideologici che rischiano di far presa su folle di elettori,  dominati dalla paura di perdere quel che hanno ( e che quindi non hanno ancora perso, attenzione),  rosi dall’invidia sociale, alla quale si accompagna, regolarmente,  il mito politico  di poter  far a meno dei partiti, dei parlamenti, definiti corrotti, come da antico copione contro-rivoluzionario, filtrato attraverso la tradizione delle tentazioni, ieri fasciste e comuniste, oggi populiste.
Insomma, parliamo del mitema della democrazia diretta e dell'autogoverno, sia organico che consiliare o di base,  destinato inevitabilmente, a sfociare nel governo volontaristico  di un capo carismatico, romanticamente capace di  intuire i bisogni del popolo, senza tante mediazioni politiche e, cosa più grave ancora, di indicare, altro fattore tipico di ogni forma di tirannia, un capro espiatorio. Di ciò,  seppure ancora in fase embrionale,  Trump potrebbe essere  un esempio, Grillo, in Italia, un altro.
Questo non significa che non siano stati commessi errori. Si pensi solo al culto internazionale di quell’ideologia del declino economico, che non ha alcun riscontro nei fatti, e che tuttavia viene largamente accettata dalle stesse classi dirigenti che dovrebbero difendere l’economia di mercato che invece costituisce il punto di forza, storicamente parlando, di ogni progresso economico e sociale.  
Se si dovesse applicare, sul serio, sociologicamente sul serio,  la categoria del tradimento delle élite, allora  si potrebbe parlare del tradimento di quelle élite politiche, conservatrici, socialiste, cristiano-sociali, che  oggi si fanno dettare l’agenda dai movimenti politici populisti. Si pensi, a destra,  ai tory britannici, ai repubblicani francesi, ai centristi italiani; a sinistra, ai laburisti inglesi, ai socialisti francesi e anche al nostro Renzi, che sembra non essersi più ripreso dalla sconfitta referendaria. Un terribile gioco al massacro.
Tradire il popolo significa assecondarne le paure, sposare la demagogia,  mistificare un glorioso passato di progresso economico e sociale, che si prolunga nel presente grazie ai meccanismi dell’economia aperta. E soprattutto significa rinunciare a credere  nella  democrazia liberale e nella necessità  delle istituzioni parlamentari e partitiche. Ciò implica, dal punto di vista delle élite,  il venire meno a quei doveri,  tipici  di una dirigenza,  capace, in quanto tale,  di  usare la testa e non altre parti del corpo.  
La democrazia da sola, soprattutto se diretta, insomma quando evocata nella sua forma mitica,  porta alla demagogia,  al caos,  infine per reazione  alla tirannia.  Si tratta di un meccanismo - quello della dittatura del tiranno come prolungamento della democrazia - temuto fin dall’antichità. Al quale però i moderni hanno saggiamente opposto la democrazia rappresentativa, di scuola liberale: la sola forma di governo in grado di contenere gli istinti bestiali di masse, regolarmente preda della paura, e inclini, quasi  per natura sociale,  al governo di un uomo piuttosto che delle leggi.  
Sicché, concludendo,  ogni  attacco  alla democrazia indiretta, l’unica forma di democrazia possibile, in nome della mitica democrazia diretta,  è un colpo di piccone.  Dal momento che  così facendo si spiana la strada all'idea, cara alla più volgare narrazione democraticista,  che un popolo può governarsi da solo.  O meglio,  governarsi direttamente da sé.  Quindi,  attenzione, se  proprio di tradimento delle élite si vuole parlare, si tratta di un tradimento verso la  democrazia liberale.      


Carlo Gambescia