giovedì 2 marzo 2017

La magistratura e il principio di infallibilità
I bramini del diritto


  
Può apparire incredibile, ma la magistratura  è un mondo a parte. Basta essere entrati per una sola volta nella vita in un’ aula di tribunale per scoprire  come  vi si respiri un’aria castale. Ma come è possibile in una società aperta?  
In realtà, la separatezza non consiste soltanto   nell’impossibilità di essere considerati uomini e donne e non semplici casi giudiziari, quindi in un fattore di  natura burocratica (circostanza che pure ha un suo peso),  bensì nella costante distanza, incolmabile,  che regna tra il giudice e colui che viene giudicato.    
Giudicare, già di per sé,  è gerarchizzare: chi giudica si eleva cognitivamente  - proprio per giudicare - su colui che viene  giudicato.  Ma c’è del’altro:  il principio dello status  (che cosa sei) e del ruolo ( cosa devi fare), che governa tutte le società, nell’universo giudiziario diviene l’unico criterio di distinzione. Nel resto della società si può passare da uno status e da un ruolo ad altri, mentre in ambito giudiziario  difficilmente l’imputato diverrà giudice. Su questa pretesa di separatezza, dalla rigidità castale,  si costituisce il potere del giudice  e dell’intero apparato che da lui dipende. Si potrebbe parlare di bramini del diritto.
Ovviamente, esistono altri gruppi sociali dove la separatezza  gioca un ruolo importante, ma non determinante:  in ambito medico e  militare, ad esempio,  ma un soldato può diventare ufficiale, un malato medico, un imputato invece, ripetiamo, mai giudice.  
Da questa separatezza,  presentata come un fattore filosofico e sociologico di indipendenza (però poi vedremo come),  trae  tutta la sua  forza  il potere giudiziario.  Di più, dove la nomina di un giudice è elettiva, la separatezza rasenta l'onnipotenza,  giocando - quasi nei termini di un surplus sociologico - sulla credenza di molti contemporanei circa la sacralità della volontà popolare. Per contro,  dove  i giudici non sono elettivi,  sono i mass media, ovviamente nei casi più eclatanti,  a proclamarne la grande popolarità, quale carismatico prolungamento di una separatezza che è anche sorgente di  alta moralità e infallibilità,  come in tutti i sistemi castali, dove le “razze” al vertice della gerarchia sono le più pure e virtuose, quindi infallibili.        
Su questi basi castali, diviene  molto pericoloso   permettere che la  magistratura svolga ruoli che non le sono propri, ad esempio di tipo politico. Dal momento che   al potere per eccellenza fallibile (quello politico) rischia di sostituirsi un potere  ritenuto a priori infallibile (quello della magistratura).
Naturalmente, poiché il potere sociale non ammette vuoti, il predominio di un  potere  può essere provocato dalla latitanza di un altro, per le ragioni più varie, che qui è inutile indagare. Quel che invece interessa chiarire è che  il moralismo giudiziario-politico  non è che il punto di arrivo, il momento patologico, di un percorso sociologico ben preciso  che vede la  politica abdicare a se stessa,  rinunciando alla fisiologia dei ruoli distinti,  per finire sotto scacco di un potere giudiziario che si ritiene infallibile, e non soltanto sul piano del folclore giuridico.  
Il che è  di una gravità assoluta, soprattutto  quando accade  in una  società aperta,  dove in linea principio non sono ammessi poteri infallibili, dal momento che storicamente e filosoficamente la divisioni dei poteri,  si regge sul principio di fallibilità dei medesimi.     
P.S. Ogni  riferimento al caso italiano è puramente  intenzionale.

Carlo Gambescia