martedì 28 marzo 2017

Il  neoconfessionalismo anti-ludico
Il gioco d’azzardo e i suoi nemici

Un paese di ipocriti, ecco il primo aggettivo che ci viene in mente. Oggi sul Corrierone, padre Gian Antonio Stella, sermoneggia, sciabolando, su una perizia di Paolo Crepet, dove si afferma che,

«non vi sono dati statistici completi ed esaurienti», che è impossibile «stabilire un serio e probativo rapporto di causa/effetto tra il gioco (quale? per quanto tempo?) e gli effetti psicopatologici (quali?)», che i Comuni danno dati imprecisi e insomma che la situazione d’insieme è così complessa e i giocatori così coinvolti in altri problemi che è «difficile sia capire qual è la patologia di partenza sia qual è la prevalente» 

Padre Stella, anzi cinquestelle,  nel  suo sermone  fa  ricorso all’argumentum ad hominem,   perché, come si legge,  il giudizio periziale di  Crepet  sarebbe di parte,  in quanto commissionato  da Lottomatica.  E perciò rivolto a contrastare davanti ai giudici le misure restrittive introdotte dal Comune di Bergamo, il cui sindaco è l’ ex manager televisivo, Giorgio Gori, oggi uomo politico, tutto d'un pezzo, Law & Order. Insomma, secondo il priore  di via Solferino, di regola,  lo scienziato-perito, smette  di essere scienziato,  per indossare l'uniforme del perito e fare  il gioco  del committente...  Che dire?  Purissima scuola del sospetto, falsa coscienza a gogò:  viva Marx, abbasso Max Weber. Continuiamo a farci del male.
Don  Stella, infine, da buon agit-prop pentastellato (per dirla all'antica),  ricorda ai fedeli (lettori) la proposta legislativa  grillina di vietare la pubblicità, misura veramente illuminata,  purtroppo,  “bloccata  da quasi due anni”. Amen. 
Non è di un mezzo prete pentastellato che oggi desideriamo  parlare,  bensì  di un'Italia, dove fino a quando si dicono cose mainstream, come il Crepet Televisivo, si è  celebrati, o comunque invitati, appena però si prova a dire qualcosa controcorrente, anche se scientificamente giustificato, come il Crepet Lottomatica,  si viene trasformati  in nemici del popolo.  E questa è la prima osservazione.
La seconda, per dirla con  il grande Bartali, è che il dibattito pubblico sul gioco d’azzardo è tutto sbagliato, tutto da rifare.  Perché i proibizionisti difendono una visione paternalistica, dal sostrato culturale  cattolico trasmigrato armi e bagagli nel socialismo,  che considera l’individuo  un peccatore che deve essere salvato da se stesso.  Se ci si passa l’espressione: il giocatore è  un pollo da redimere.
E gli antiproibizionisti? In Italia, semplicemente, non esistono. C’è  lo stato  che vuole regolamentare, per ragioni fiscali. Quindi guadagnarci sopra. Regolamentare però  non è liberalizzare: significa tollerare e tassare. Perciò  il giocatore è un pollo da spennare, due volte. Una di troppo diciamo: da parte dello stato biscazziere.
E in mezzo a  questa battaglia  tra missionari, assistenti sociali, agenti delle tasse,  finisce per essere stritolato  non tanto il  Crepet Lottomatica, dalle sette vite dei gatti televisivi, quando il libero agire individuale. Perché il vero problema, fatti salvi i gravi reati penali,  rimane quello di lasciare l’individuo libero di fare ciò che desidera della propria vita.  E poiché la società, nel bene e nel male, si fonda sui meccanismi emulativi, occorre che, se e quando ritenuto nocivo, il  giocatore d'azzardo sia messo ai margini, spontaneamente, dalla società stessa. E come? Attraverso gli effetti selettivi, se e quando  si registreranno,  degli esempi negativi e cumulativi.
Si chiama  "lasciar fare lasciar passare".  In fondo, è un gioco anche questo, ma terribilmente serio.  La società è un meccanismo ludico con vincitori e vinti.   Sicché, la stima è sempre sociale, cioè sono gli altri ad attribuirla,  sanzionando  collettivamente  la  natura di perdente o vincente di ogni singolo. Perciò  se esclusione ci deve essere,  che  il “verdetto”  sia sociale ex post,  sulle reazioni selettive, non  ex ante, pre-selettivo e per giunta di tipo moralistico. La società è di tutti i giocatori “della vita” e, piaccia o meno,  comanda a  se stessa ed emette il verdetto.  Ex  post, così funzionano le cose, sociologicamente parlando.  Le "cappe" morali, quando e se necessarie, è la società stessa a stabilirle, concretamente, in modo autonomo (interno), non il "legislatore" socialista, cattolico, welfarista, eccetera,  sulle basi di astratte ed eteronome (esterne) necessità sociali fissate da questo quel codice ideologico.
Si dirà: ma dilapidando, il giocatore coinvolge altre persone, mogli, figli, amici, eccetera.  È la libertà, bellezza. C’è  sempre un prezzo da pagare. La libertà individuale non mai è gratis. Del resto,  qual è  l’alternativa?  Vietare tutto ciò che può essere pericoloso secondo il prete, l’assistente sociale,  il medico?  Cioè ex ante?   Magari ricorrendo al braccio secolare dello stato?   E che vita sarebbe,  una vita  regolata  dal confessionalismo anti- ludico?

Carlo Gambescia