sabato 4 marzo 2017

Henry Kissinger  ci ricorda i  pericoli di un’ agenda politica digitalizzata
A.A.A. Cercasi capitani coraggiosi


Nell’ultima fatica di Henry Kissinger,  ottimo distillato di scienza politica, Ordine Mondiale,  si  affronta nell’ultimo capitolo  la   ricaduta politica del  rapporto tra la tempistica veloce, anzi velocissima, della comunicazione sui Social Network e i tempi, molto più lenti, necessariamente lenti, della decisione politica.
Kissinger, evidenzia il pericolo di una politica a colpi di tweet, incapace di fissare un' agenda stabile, per rincorrere un' instabile popolarità da spendere in  consenso tanto immediato quanto pronto a volatilizzarsi.  A suo avviso, si tratterebbe di una tendenza strutturale, già incoraggiata, dai mass media classici, che ora però, con l’avvento dei Social, ha raggiunti livelli un tempo impensabili. 
Questa fissazione dell’agenda dal basso, un basso profondo e oscuro attraversato da tensioni emotive , temende e  inquietanti,  implica il rischio di appiattire la politica a scambio di emozioni  estemporanee, come nei fenomeni di folla. Scrive Kissinger, con un occhio, naturalmente,  alla politica estera

“Ciò che si cerca è l’approvazione (…). Soltanto personalità molto forti sono in grado di resistere ai giudizi sfavorevoli dei lori pari, aggregati e amplificati per digitale. La ricerca è quella del consenso, non tanto mediante scambio di idee, quanto per condivisione di emozioni. E i partecipanti non possono sottrarsi  al senso esaltante di realizzazione derivante dall’appartenenza a una folla di persone che la pensano apparentemente nello stesso modo.”

Sicché, oggi

“L’essenza della leadership (…) rischia di essere ridotta a una serie di slogan volti a catturare l’approvazione immediata a breve termine. La politica estera, corre il rischio di trasformarsi in una sezione della politica interna, invece di essere un esercizio di costruzione del futuro.”

E qui si pensi ai tweet di Trump e al ruolo devastante dei  populismi politico-digitali. Fenomeni che possono essere ricondotti all’interno delle coordinate concettuali delineate da Kissinger. Il quale sembra essere piuttosto pessimista sull’evoluzione del fenomeno:

“Alla ricerca di prospettive potrebbe benissimo sostituirsi un inasprimento delle differenze, il governo mediante esibizione di atteggiamenti studiati. Quando la diplomazie si tramuta in gesti conformati alle passioni, la ricerca dell’equilibrio rischia di cedere il passo a una sperimentazioni dei limiti.”
(H. Kissinger, Ordine Mondiale, Mondadori, Milano, pp. 356-357)

Tradotto: il ciclo politico,  interno alle  democrazie, che proprio perché tali  non possono non essere fondate sul consenso, rischia di  trovarsi a  subire il peso devastante di  un’agenda politica sempre più  digitalizzata, a breve termine,   e  incoerente con  il ciclo diplomatico, economico e culturale, dai tempi lunghi, la kissingeriana "prospettiva",  che rinvia:  1) all’uso della forza come deterrente realistico, e non come fattore fine a se stesso ; 2) all’  economia di mercato, come  motore principale della crescita economica;  3) ai processi di modernizzazione, come creazione di un’area franca: una specie di metodo comune, per così dire  “moderno”, - fondato sulla relativizzazione dei rispettivi valori -   grazie al quale  le culture possano  liberamente  continuare a  confrontarsi.  Quindi forza, economia, cultura, come mezzi e non fini. 
Pertanto, andando oltre Kissinger,  abbiamo, da un lato i tempi lunghi, fondati sulla  comprensione dell’importanza di un ordine aperto, ragionato e ragionevole, basato sui mezzi,  dall’altro i tempi brevi, legati alla digitalizzazione emotiva delle paure, che conducono a  un ordine chiuso, in qualche misura "finalistico". Per farla breve: potere (della modernità) vs legittimità (democratica),  regno dei mezzi contro regno dei fini.
La ricerca del consenso a breve  spinge i politici ad assecondare  la politica della paura, presentandola come democratica, quindi finalisticamente.  I  Social non aiutano. Anzi.  E, per ora, mancano politici coraggiosi, anche un poco  folli, come il mitico  capitano Achab,  ma  dalla parte della modernità e dei suoi "mezzi",  in grado di contrastare i pericoli di un' agenda digitalizzata, "democratica" quanto si voglia, ma  dalla deriva, nei fini,  anti-moderna.  
Sicché,  perfino  il  colossale Achab, come Melville insegna,  potrebbe non bastare.  Probabilmente,  i populismi digitali, e di massa,  sono  il prezzo che si deve pagare alla democrazia.  E in qualche misura alle contraddizioni di una  modernità, paurosamente  sospesa, e da sempre,  sul crinale mezzi-fini. In fondo, è la sua caratteristica epocale.
Un prezzo che però potrebbe essere molto elevato. Troppo.  D'altronde,  Moby Dick   non finisce in tragedia?     


Carlo Gambescia