mercoledì 22 febbraio 2017

Lo sciopero dei taxi
Dove sono finite  la vernice, le donne,  la velocità?
  


Sui mass media, ma anche a livello politico e sindacale lo sciopero dei taxi viene catalogato  come  sciopero contro l’utente, alla stregua  di qualsiasi altro servizio pubblico. Cosa pensare? Che questa impostazione è completamente superata.  Certo,  è vero che i taxi, hanno svolto per poco più di un secolo, un servizio di tipo  pubblico, sostituendo le carrozze e integrando il tram a cavalli. E che un loro  sciopero, come si legge, “può mettere in ginocchio la città” .
Però il  punto è un altro: che i cavalli sono scomparsi e i taxi sono rimasti ancorati a una legge quadro e regolamenti, soprattutto locali, che rinviano a  ottant’anni fa. All'epoca di pionieri.  
Altro punto,  è che i tassisti fanno finta di non capire.  O meglio i loro dirigenti.  Di qui, scioperi e chiusure corporative ai primi timidi tentativi di liberalizzazione  e ammodernamento di  un settore a dir poco arcaico dal punto di vista della  mentalità.
Però, terzo punto, tassisti e famiglie,  portano voti. Il che spiega l’atteggiamento collusorio dei politici, di destra e sinistra, come a Roma, dalla Meloni alla Raggi. E anche la tendenza  a giustificare reazioni violente, come  è accaduto ieri,  reazioni, comunque sia,  non della gravità di quelle commesse dal reduce psicopatico, Travis Bickle, l’ eroe dalla pistola facile  di Taxi driver...  Che però...  ( ma questo lo spieghiamo nella chiusa).  
Si dovrebbe far capire  ai tassisti che in un’epoca dove l’offerta di trasporto, un tempo solo pubblica, si è diversificata, seguendo una domanda sempre più esigente e variegata, la vera battaglia contro Uber riguarda i prezzi e l'innovazione  tecnologica.  Sicché, invece di chiudersi, tirando fuori dalla soffitta il tricolore e   rimpiangere il Duce (in verità, in pochi),  i tassisti  devono  aprirsi al mondo  e chiedere l’abolizione delle tariffe pubbliche e di molti inutili controlli e regolamenti preventivi. Occorrono libertà di lavorare,  produrre,  crescere, innovare, puntando sul rischio imprenditoriale  e sulle proprie forze creative  e non  sull’abbraccio mortale con i poteri pubblici: che con una mano danno e con  l’altra tolgono.
Ecco perché le tariffe dovrebbero essere determinate dal mercato e non da commissioni burocratiche: “lasciar fare, lasciar passare”, ecco la ricetta.  Dopo di che  i tassisti,  magari  consociandosi in spa, potrebbero competere  ad armi pari con chiunque  si proponga in futuro di entrare nel mercato del trasporto delle persone. Ad armi pari.
Pertanto  è vero  che, per ora,  la concorrenza di Uber è sleale. Ma, ripetiamo,  per una ragione economica e di libertà:  le tariffe dei taxi, a differenza di quelle del competitore privato,  sono rigide, fissate per comando. Perciò, la risposta non può essere quella di chiudersi in modo corporativo chiedendo  al potere  politico, con la mano tesa,   l'elemosina  di  mettere  fuori gioco l’avversario.  Si chiama protezionismo sociale. E favorisce il parassitismo economico. Un fenomeno che  conduce direttamente al sopravvivere non al vivere.
Il tassista Travis Bickle  alla fine ammazza tutti i mafiosi.  E diventa un eroe. Anche giustamente (secondo l'ottica del Far West...). I tassisti italiani voglio ammazzare Uber che invece sta reinventando il trasporto delle persone, come Facebook ha reinventato, per così dire,  il trasporto delle parole. Peggio ancora,  i tassisti chiedono che sia lo  stato  a  uccidere Huber.  Ma uccidendolo, ucciderebbe anche i tassisti.  Si chiama suicidio. Perché la competizione è il motore del progresso economico e tecnologico. E i tassisti, se tornassero a comprenderne l'importanza, potrebbero, come dire, tornare a nuova vita.  Però  serve coraggio.  Un secolo fa, il taxi, ai suoi inizi,  rappresentava la modernità, piaceva ai futuristi. Altro che le "muffose" carrozzelle. Chi allora optò per i "cavalli del motore", scelse, a suo rischio e pericolo, la modernità.   Per parafrasare Paolo Conte,  il taxi, in qualche misura, evocava  un  nuovo mondo,   fatto di vernice, di donne e di velocità.  E oggi?    
Carlo Gambescia