venerdì 20 gennaio 2017

Le  dichiarazioni  “populiste” di Theresa May al Forum di Davos  
Povera Margaret Thatcher...



Sembra che Theresa May, la premier britannica, aspiri a  trasformarsi nelle fotocopia made England di Donald Trump (*).  Anche il premier britannico vuole  che al “centro della politica tornino le preoccupazioni del popolo”.  
Che dire? Intanto, povera Margaret Thatcher. Un poco di pazienza e il lettore capirà perché.  Dopo di che,  va  subito evidenziato che  le “preoccupazioni del popolo” sono  già al centro della politica”. E da un pezzo.  In tutto il mondo occidentale, esistono istituzioni, che si chiamano Parlamenti, liberamente eletti dal popolo.  Più al centro di così.
Purtroppo il discorso è un altro.  Oggi,  la parola popolo  - un popolo che non ha mai goduto di un tenore di vita e di tanta libertà come ora  -   viene  usata, e artatamente,  o da  politici inquietanti, come Trump ad esempio,  o da forze politiche  che odiano, e da sempre,  il sistema politico, sociale ed economico esistente, come ad esempio i lepenisti in Francia, Podemos in Spagna, il Movimento Cinque Stelle in Italia, i neonazisti in Austria e Germania, e altre forze politiche di stampo razzista  in Europa.  Quindi la Signora May, prima di parlare  dovrebbe imparare a  contare fino a tre.  
L’etichetta politica del populismo - definizione, tra l’altro, apprezzata dalle forze politiche di cui sopra -  al momento serve a a  identificare  personaggi  che si riempiono la bocca della parola  popolo, come Trump, pronti però a  circondarsi di miliardari,  o  che sposano la causa razzista del popolo monocolore come Salvini in Italia.
Purtroppo la tendenza politica, oggi prevalente, è  di vezzeggiare  un popolo che invece è stato fin troppo viziato,  che finora, a differenza di quel che si tenta di far credere, non ha perso nulla dei propri beni, ma proprio nulla,  e che per contro  ha solo paura di perdere ciò  che ha conseguito (in termini di beni addizionali o posizionali)  grazie ai successi, incomparabili, di un sistema economico: quello capitalistico. Che invece, stupidamente,  viene messo sul banco degli imputati  dai nuovi amici del popolo  per guadagnare il consenso di invidiosi,  scontenti, falliti, duri e puri (dalle nostalgie totalitarie),  agitatori e “ribelli”  di professione ( quelli  dell’andiamo a comandare, per dirla con Fabio Rovazzi). Dunque, un mezzo non un fine.  E, come di regola, per conquistare il potere.  Il che potrebbe essere comprensibile, dal punto di vista della dinamica del politico,  se non fosse che l'onda populista, come uno  tsunami,  rischia di distruggere tutto.  
Si pensi ai  topos, o luoghi  comuni populisti:  pochi e  confusi. E pericolosi probabilmente proprio perché  promettono tutto e il contrario di tutto, eccitando i riflessi carnivori dei creduloni e dei potenziali e crudeli  re per una notte.       
Si evoca, “promettendo regole” (da implementare non si sa bene come),  un capitalismo  privo di rischi (che non è mai  esistito: il rischio è il sale di un economia basata sulla libera circolazione dei capitali, degli uomini e dei beni); si inneggia alla bontà del protezionismo (che ha sempre condotto a guerre, povertà e parassitismo economico); si indicano come nemiche del popolo le aristocrazie economiche private    (fingendo di dimenticare i clamorosi  fallimenti delle aristocrazie  pubbliche); si celebra la redistribuzione (sorvolando sul fatto che per redistribuire bisogna prima produrre, e che in ambito produttivo l’economia di mercato rimane, fino a prova contraria, il sistema più efficiente).
Insomma, il populista semplifica. Tutto e subito: faremo, ordineremo, chiuderemo, obbligheremo, imporremo. Ecco i verbi più usati dagli amici del popolo. Che   ignorano o fanno  finta di ignorare la complessità  dei rapporti politici,  economici e sociali.  E le conseguenze potrebbero essere devastanti.   
La cosa più preoccupante, infine, è l’atteggiamento assunto  dai politici  liberali e riformisti.  Si pensi, ad esempio,  ai cedimenti populisti di Renzi in occasione del referendum costituzionale, o ancora peggio a Theresa May, come dicevamo all’inizio,  che lusinga quel popolo che Margaret Thatcher, pur non favorevole all’Europa, aveva sfidato, puntando  non  sul fantasma della  paura collettiva oggi  agitato dai nuovi tribuni della plebe, ma sulla  la libertà economica. Senza la quale, mai dimenticarlo, non esiste libertà politica. Ma solo la sottomissione dello schiavo verso la mano visibile, di regola dello stato, che lo nutre.

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