sabato 3 dicembre 2016

Il referendum del 4 dicembre  e il centro-destra (dei Tafazzi) che vota No
I fascio-comunisti 
con pensione Rai





L’immagine  più facile è quella di Tafazzi, ritratto del   masochismo. Ma forse la definizione  vale più per Berlusconi e Forza Italia, dalle ascendenze liberali, sempre però tradite.  E non per personaggi come Salvini e Meloni, coerenti con un’ideologia fascistoide e arruffapopoli, che oggi forse fin troppo nobilmente  viene denominata populismo.  E da qualche settimana, come al gioco delle tre carte,  trumpismo. Senza sapere un cazzo  (pardon) di Trump, imprenditore duro e puro, e dell’America che lo ha votato, contraria a qualsiasi forma di assistenzialismo all’italiana. E con buona pace della famiglia politica Le Pen, sempre  ammirata  dalla destra neofascista italiana (ora però indecisa fra Trump, Putin e la nuova "Giovanna D'Arco", Marion...). 
Il masochismo è nell’inseguire Grillo e il suo popolo di esaltati in una specie di  gara a chi sia capace di insultare  Renzi, usando l’epiteto più feroce.  E  chi può avvantaggiarsi dell’insultomania del trio Berlusconi-Salvini-Meloni?   Grillo, of course. Perché il centro-destra  la credibilità (globale) l’ha perduta da un pezzo con le pessime prove di governo. Ci spieghiamo meglio:  l’elettore  che vota Grillo, e che, soprattutto potenzialmente,  potrebbe votarlo,  il vittimista arrabbiato che vuole pensioni alte e tasse basse,  considera  un capitolo chiuso  l’esperienza del centro-destra,  giudicata come fallimentare o comunque fin troppo morbida. L'individualista protetto, che socializza le perdite e  individualizza i profitti,  preferisce votare Grillo, perché è l'ennesimo Masaniello, ma nuovo di zecca. E poi c'è l'Eldorado grillino: il Reddito di Cittadinanza...  Non sia mai.
Pertanto, quanto più il centro-destra si unisce al coro sguaiato  dei grillini,  tanto più rischia percentuali da prefisso telefonico.  E soprattutto, di  perfezionarsi  nell' arte poco nobile  dell'utile idiota:  quella di spalancare le porte del potere ai pentastellati,  come avvenuto alle comunali romane. 
Attenzione,  il che non significa (e non significava) appiattirsi  sul Governo Renzi, come Alfano & Co., bensì esercitare un' opposizione responsabile, oggi,  e lavorare, domani, quindi in prospettiva, a un’alternativa di tipo liberale, e non fascistoide.   E nel caso di specie,  se ci si perdona lo stile avvocatesco, il senso di   responsabilità imponeva di invitare i propri elettori a votare Sì, e  non l'evocazione  - pensiamo a Berlusconi -  del    “tentativo autoritario”. Uno sproposito. Detto poi dal principale artefice di una  riforma costituzionale,  quella del 2006, a sfondo presidenzialista.    
Il Trio Lescano, con  il Cavaliere gonfio di cortisone al centro,  quanto a linguaggio, contenuti e strategia politica,  dovrebbe imparare molto  - proprio  tornare a scuola -  dall’esperienza del centro-destra spagnolo della Transizione e degli anni Ottanta-Novanta del Novecento,  fondativa  del futuro Partido Popular: partito moderato che fece chiare scelte liberali, mai populiste (o peggio ancora fascistoidi), proprio negli anni non facili della lunga egemonia del partito socialista, capeggiato all’epoca dall'altrettanto brillante Felipe González.  Il PP  lavorò durò,  in silenzio,  e nel 1996, con Aznar, vinse le elezioni e cambiò la Spagna, in senso liberale.  Oggi Rajoy vive ancora di quell’eredità.
E in Italia?  Certa destra, imbevuta di un romanticismo politico che sta al fascismo come uno spot di Dolce & Gabbana sta alla Sicilia del dopoguerra, continua a giocare al fascio-comunismo,  magari sperando di tornare al potere con la famigerata terza ondata (“Questa volta non faremo prigionieri!”). Naturalmente,  si argomenta di rivoluzione, sorvolando su  pensioni della Rai, vitalizi parlamentari e quant’altro, acquisiti per meriti impropri quando il post-odiato Gianfanco Fini era il "Delfino" del padrone della ditta, e non un Badoglio qualsiasi.  Prebende, ovviamente,  oggi ambite, da quelli che allora  non ce la fecero a salire sul treno berlusconiano e che sperano di rifarsi.  Per contro, parliamo di denari - e quindi di coloro che invece ce l'hanno fatta - oggi accreditati mensilmente sul conto corrente  di  una vituperatissima banca. Così con  nonchalance:  nuova mistica post-fascista del portafogli oltre l'ostacolo.  Denari,  che,  se si tornasse alla Lira, come auspicano sulla scia di Grillo,  gli orfani "sovranisti" della rivoluzione fascio-leghista,  si tramuterebbero in cartastraccia.
Diciamo che Tafazzi se la passa benino.  Per ora.

Carlo Gambescia

                    

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