venerdì 1 luglio 2016

 Agli impiegati pubblici va assicurata una normativa diversa -  e migliore -  di  quelli privati
Elogio della diversità
 di Teodoro Klitsche de la Grange




Ha destato non poco stupore la sentenza della Cassazione per cui la disciplina renziana di (soppressione delle garanzie) dei dipendenti privati non si applica a quelli pubblici. Tale coro ovviamente aveva per sottofondo il principio di eguaglianza: perché agli impiegati pubblici dovrebbe essere assicurata una normativa diversa – e migliore – di quelli privati?
La risposta è semplice: perché il rapporto d’impiego pubblico è sostanzialmente diverso da quello privato. Anche se, per lo più, le mansioni sono uguali o assai simili, a far la differenza è sia il carattere del datore di lavoro, sia gli interessi e le responsabilità. Mentre infatti per l’impiego privato a beneficiare della prestazione lavorativa è chi retribuisce e ne sopporta profitti e costi, in quello pubblico a pagare è Pantalone, mentre ad amministrare il personale sono politici e (super)burocrati. Per cui il giudizio sulla “quantità e qualità” del lavoro prestato è se non più equanime almeno più responsabile: è la responsabilità di chi decide (e paga) a costituire (gran parte della)  diversità tra pubblico e privato e far si che, in genere, il secondo sia più economico ed efficiente del primo. Si è tentato di surrogarla, incrementando altri tipi di responsabilità – penale, contabile, amministrativa – in capo ai “decisori” pubblici; ma con risultati modesti rispetto alla prospettiva concreta di pagare gli errori di tasca propria. Al punto che nella Costituzione “più bella del mondo” fu enunciato – come principio generale, ma solo per lesione dei diritti – l’obbligo del funzionario di pagare personalmente (art. 28). Ma tale norma costituzionale è stata sostanzialmente disapplicata sia dal legislatore che in sede giudiziaria.
D’altra parte e per la stessa ragione, l’amministratore, che non provvede come il privato, in vista di un proprio interesse, ma per quello di tutti e cioè generale; ma, come scriveva – tra i molti – Marx tende a confondere (nel migliore dei casi) quello pubblico con quello proprio (o della casta) per cui occorre porre al riparo gli stessi impiegati da misure che sono prese per esigenze estranee al bene pubblico, ma conformi a quello di partito, corporazione e così via.
Per questo la Costituzione dispone per le PP.AA. i principi di “buon andamento” e “imparzialità” che, se fossero previsti per privati sarebbero inutili se non bizzarri. Da parecchi decenni è tuttavia opinione condivisa da molti che, per rendere più efficienti (e meno fancazzisti) gli impiegati pubblici sia sufficiente mutare il  regime giuridico rendendolo se non uguale molto simile a quello dei dipendenti privati.
Ma il tutto, oltre che con diverse disposizioni costituzionali, urta ancor di più con la diversità sostanziale del rapporto e del correlato assetto degli interessi; oltre che con la peculiarità dell’organizzazione pubblica. Per cui la unitarietà della normazione finisce per confliggere con le diversità dell’assetto; e quindi per suscitare inconvenienti superiori a quelli che – forse – potrebbe risolvere.
Si può adattare, al riguardo, quanto scriveva Engels in relazione all’inversa pubblicizzazione del privato: che la sostanza dei rapporti prevale: “né la trasformazione in società anonima, né la trasformazione in proprietà statale, sopprime il carattere di capitale delle forze produttive”; analogamente, né il diritto privato, né l’autonomia negoziale sono la bacchetta magica per trasformare in impresa ciò che, per funzione, mezzi ed appartenenza, è pubblico.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


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