giovedì 28 luglio 2016

Islam. Le parole di Papa Francesco durante il volo verso Cracovia

 “Non è una guerra di religione”



Prima  di tentare qualsiasi analisi riteniamo corretto, anche per favorire la comprensione del nostro scritto,  riportare le parole di Francesco:


«Il Papa è atterrato a Cracovia per l'incontro con i giovani di tutto il mondo per la trentunesima giornata mondiale della gioventù. Durante il volo ha parlato con i cronisti e ha sottolineato che quella in corso con i terroristi "non è una guerra di religione", ma è piuttosto una "guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli. Tutte le religioni vogliono la pace, capito?". Nella prima parte del suo discorso, interpellato su come viva l'assassinio di ieri di padre Hamal intraprendendo questo viaggio, il Papa aveva precisato: "(…) La vera parola è guerra. Il mondo è in guerra a pezzi: c'è stata la guerra del 1914 con i suoi metodi, poi la guerra del '39-'45, l'altra grande guerra nel mondo, e adesso c'è questa. Non è tanto organica forse, organizzata sì non organica, dico, ma è guerra. Questo santo sacerdote è morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per la chiesa, ma quanti, quanti cristiani, quanti di questi innocenti, quanti bambini vengono uccisi. Pensiamo alla Nigeria - ha esortato - 'ma quella è l'Africa', ma è guerra, non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace". »

 

Che dire?   Per un verso,  non è male che il Papa  non prenda posizione in favore di una “Crociata”,   ossia di una guerra religiosa contro l’Islam nel suo complesso,    per l’altro, negare che  il conflitto  in atto non sia  una guerra di religione  (quantomeno di una parte dell’Islam) contro il cristianesimo è falso.  Infine aggiungere che quella  in corso  è una “guerra a pezzi”  e per le risorse eccetera,  significa  strizzare l’occhio: 1) a quei teorici (dell' impotenza politica) che si sono inventati l’idea di guerra asimmetrica ("guerra a pezzi" ne è sinonimo...) per rinviare all’infinito la guerra simmetrica; 2) agli anticapitalisti, agli  antioccidentali, agli  antiamericani di tutti i colori politici  e seguaci di un pacifismo teso a disarmare l’Occidente.  

Le parole di Francesco  hanno scontentato i tradizionalisti cattolici che vorrebbero una crociata subito  e quei  laici, pensiamo al “Foglio”, che continuano a scorgere nella religione  un instrumentum regni in grado di cementare  masse cattoliche che, in realtà,  non esistono se non in veste ludico-religiosa, del tutto inoffensiva. Mentre sono sicuramente piaciute ai nemici dell’Occidente che scorgono nel Papa un compagno di strada.  Quanto all’impatto sull’Islam, difficile dire:  di sicuro però, sono parole che non fermeranno l' offensiva jidhaista.

Dicevamo che  non è male che il Papa  non evochi mirabolanti Crociate.  E  per  almeno una ragione fondamentale: perché al grido di “Dio lo vuole”  si rischia di alimentare quella spirale dell’odio sociale,  che anche se raccolta da sparuti gruppi  di estremisti cristiani,  può condurre alla guerra civile.  Come?  Grazie a  una crescente emulazione sociale,  dettata dall’insicurezza.  Soprattutto, come sta accadendo,  quando  i tempi della   reazione militare  dell’Occidente (e in particolare dell’Europa)  non collimano con i ritmi più rapidi della paura sociale. Di conseguenza, se ci passa l’espressione, “pompare” odio nella  “macchina sociale”, senza essere in grado  di garantire, all’interno,  la sicurezza dei cittadini e  di  conferire  uno sbocco militare esterno alla crisi interna, significa  creare un vuoto temporale, semplificando,  tra il dire e il fare. Un vuoto che rischia di  essere presto  colmato  da forme  armate di auto-organizzazione e autodifesa sociale: il "cittadino (hobbesiano) fai da te" ( e non è una battuta). Detto altrimenti: parlare a vanvera  di Crociate significa favorire la guerra civile. A rigore,  ammessa e non concessa la bontà del fanatismo religioso, i tempi interni ed esterni della  "Crociata", una volta evocata,  dovrebbero collimare.
Concludendo, l’Occidente avrebbe la tecnologia, il freddo acciaio della ragione,  gli armamenti, anche non convenzionali,  e  le forze  militari professionali più che sufficienti,  per intervenire, dove possibile, e imporsi con una grande vittoria. Impartendo al nemico  una di quelle  lezioni che non si dimenticano facilmente.  Per  poi rivalersi della vittoria - “signori avete perso non c’è più scampo, non cresce più un filo d’erba…” - sul piano interno, grazie all' orgoglio ritrovato,  praticando, dopo la repressione,  la classica  politica del bastone e della carota.  Parole dure? Certo, ma le guerre non si combattono e vincono con le infiorate e le processioni.
Ovviamente, il tutto non può essere indolore. Ma questo è ciò che va fatto.  Ci si chiederà: dov’è  la classe politica degna di questo  compito?  Vero, per ora, all’orizzonte non si scorge.  Però talvolta  la paura di perdere potere può provocare miracoli...   Infine, ribadiamo, introdurre motivazioni religiose può allontanare e non facilitare la “soluzione” del problema. Il popolo, i cittadini, li si chiami come si preferisce -  semplificando -  vanno rassicurati e messi nelle condizioni di continuare la vita di sempre.   Gli uomini sono pericolosi, guai a scatenarne  la natura animale. Quindi l'idea della normalità diffusa è giusta, ma senza misure militari immediate rischia di trasformarsi in boomerang per cittadini e politici.
Servono però alcune cose:  la spietata lucidità degli alti comandi, la tenacia e la perizia di militari professionisti e  la lama d’ acciaio della tecnologia occidentale. Ripetiamo, questo è ciò che deve essere fatto. Quanto più si aspetta a intervenire, tanto più crescono le divisioni interne e tanto  più il disimpegno del Papa  rischia di  trasformarsi in atout per il nemico.

Carlo Gambescia


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