sabato 23 luglio 2016

Ieri i funerali di Angelo D’Agostino e Gianna Muset
  I pensionati di Voghera, caduti o vittime?




C’era  una volta la casalinga di Voghera, come esempio di un pensiero  popolato di luoghi comuni, banale,  del tutto  normale. Perché  la gente è così, non arzigogola, come  professori e giornalisti, dice cose scontate, prevedibili, in fondo rassicuranti.  Si chiama, ripetiamo,  normalità. 
Oggi invece abbiamo, i pensionati di Voghera,  morti  (o caduti? c’è una differenza, come il lettore capirà) a Nizza,  di cui ieri si sono celebrati i funerali nel Duomo cittadino.  Uno strazio: figli, nipoti, parenti, amici, gente comune, persone inebetite dal dolore, travolte dalla storia di nuovo in marcia; persone che però, e giustamente,  vorrebbero continuare a  vivere un'esistenza  fatta di lavoro, tempo libero,  impegni, talvolta problemi, insomma tutto quelle cose che innervano la vita normale: quella, appunto, della casalinga di Voghera,  un tempo irrisa dagli intellettuali rive gauche.   
Tutta questa gente sembra però presagire, stretta intorno alle bare cinte con il tricolore, che qualcosa, purtroppo, impedisce il ritorno  alla ( e della) normalità.  Intuisce vagamente,  per ora.  Anche perché, a partire proprio dalle istituzioni, nessuno sembra preoccuparsi  di dare un senso alle morti. Anzi peggio si mistifica. Quel tricolore, invece,  rappresenta una forte domanda di senso.   Ecco il vero problema.  Più si sottolinea la "follia del terrorista”  più la gente non comprende le ragioni.  Perché?   Sono morti, vittime non caduti:  è questo  il messaggio mistificatorio  che circola, incoraggiato, come si dice, dal circuito politico-mediatico.  Si cade in guerra, sul campo di battaglia, magari in modo eroico, invece si muore per tante altre ragioni:  una disgrazia, una rapina finita male,  un tradimento amoroso o, appunto, per mano di un pazzo. Si è vittime di qualcosa o qualcuno,  mentre chi cade in battaglia sa perfettamente per quale causa muore e che a uccidere è  un  nemico con tanto di nome e cognome.  E non  la casuale mano del folle.
A nostro avviso,  i morti della catena di attentati che sta sconvolgendo l’Occidente sono i nuovi  caduti di una nuova guerra. E così andrebbero ricordati e celebrati.  Il che però non accade.  Perché? Secondo le categorie del pacifismo dominante,  parlare di caduti e non di morti o  vittime del terrorismo jihadista,  significa cedere al bieco militarismo.  Inoltre, come si legge, non siamo in guerra con nessuno:  non c'è il nemico (come impone la vulgata dell'irenismo socialdemocratico) Oppure, se proprio si vuole parlare di guerra, si tratta di  un “non guerra”: una “guerra atipica” contro pazzi e criminali, sbucati dal nulla, quindi  una guerra che non somiglia alla guerra, e che  va combattuta con la polizia, l’intelligence, la psichiatria, senza mai  allarmare i cittadini ( peggio ancora motivarli...). E poi, come pure si sostiene, i civili, da che mondo e mondo e con vocabolario (pacifista) alla mano,  “non combattono” e quindi non possono “cadere” (combattendo) su nessun campo di battaglia.
Peccato che i britannici celebrino tuttora i civili eroicamente caduti sotto le bombe tedesche, durante l’ “assedio aereo” tedesco dell’estate-autunno del 1940.  In qualche misura, anche quello era terrorismo. Dal cielo.  Accenniamo, sia detto per inciso, a  una differenza di mentalità, tra il Regno Unito e l’ Europa continentale che   potrebbe spiegare la Brexit,  unitamente alle altre ragioni addotte.  Forse però osiamo troppo.
Comunque stiano le cose, fino a quando non si spiegherà al pensionato di Voghera  che siamo in guerra -  guerra-guerra  che si vince facendo la guerra-guerra contro un nemico-nemico  - e che di conseguenza, piaccia o meno,  siamo  tutti arruolati e combattenti  e che quindi  tutti rischiamo di cadere, le persone comuni continueranno a non capire le ragioni e il senso del conflitto in atto.  Parliamo  di una guerra che, come quella contro Hitler e il nazifascismo, ha  assunto il carattere di una battaglia per la difesa della civiltà.
Chi scrive, per dirla francamente, non credeva che un giorno si sarebbe rivolto ai lettori usando una terminologia apocalittica. Ma così stanno le cose. Purtroppo.  Gli unici a non capirlo  sono i politici  E come abbiamo visto, anche i pensionati di Voghera.  Ma  non è colpa loro.  

Carlo Gambescia         

    

2 commenti:

  1. Carissimo Carlo, con la tua pacatezza socratica riesci a dire ciò che io col lanciafiamme grido da tempo. L'Occidente ha già perso una guerra, quella contro le proprie radici, le identità nazionali, il comun sentire. L'Occidente calabraghe che rinuncia a tutto tranne che all'edonismo, al relativismo etico, alle battaglie digitali contro i pokemon, alla playstation, alle vacanze (per Severgnini sono sacre, dimenticando che pochi ormai possono permettersele) ed altri "forti" valori sbandierati da Mattarella ma mai elencati, forse per pudicizia. Abbiamo già perso. Potremo mai vincere in una guerra asimmetrica che ci siamo portati a casa? Qualche tuo collega della Luiss (non ti offendere) va raccontando nei salotti tv che l'Isis è con l'acqua alla gola, rassicurante fesseria per addormentare le coscienze. Non è così che si affrontano i grandi problemi, credo. Dicono: non dobbiamo rinunciare alla nostra quotidianità. Ma se le Istituzioni non garantiscono la sicurezza (e ormai chi lo potrebbe?) come facciamo a campare sereni? Perché, caro Carlo, le alte sfere (si fa per dire) recitano la parte dei pompieri quando l'Europa brucia?

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  2. Grazie Angelo. Si chiama "negazione della realtà", al suo fondo ci sono ragioni sociologiche (conservazione del consenso), politiche (mantenimento del potere), culturali (difesa dei principi e valori sui quali ci si regge). Tuttavia la realtà, finisce sempre per vendicarsi. Un abbraccio.

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