sabato 12 marzo 2016

Milton Friedman le Banche Centrali




In  Liberi di scegliere, Milton e Rose Friedman , oltre a  divulgare, in modo eccellente, una visione economica liberale, veramente alla portata di tutti, approfondiscono nelle ultime pagine il tema di una costituzione economica  di impianto liberale.
Ora, talvolta  capita di leggere  di un  Friedman favorevole al controllo diretto dello Stato sulle Banche Centrali.  In realtà, proprio tirando in ballo l’idea di  Costituzione, egli  ha sostenuto se non proprio l’esatto contrario, qualcosa di assolutamente diverso, soprattutto nelle finalità, dal credo keynesiano, favorevole invece all'abbraccio mortale.    
Friedman  non sostiene il controllo diretto, tipo quello di cui si discute molto in Italia, dopo la cosiddetta separazione tra Banca d’Italia e Tesoro.  Bensì, da attento studioso dell’inflazionismo americano, parla di una sorta di supervisione, in prima battuta,  del Congresso, che è altra cosa, dalla burocrazia pubblica e  del Tesoro,  e in seconda, di un controllo di massima, sul piano del dettato costituzionale:  di qualcosa che resta là, come dire, di fisso, immobile, addirittura sacrale,  assai lontano dalla legislazione "motorizzata",  ad libitum,  che piace tanto a partiti e clientes. Ci spieghiamo meglio. Scrive Friedman, a proposito del perseguimento di una moneta sana, libera  o quasi dall’inflazione:

«Si tratta di un emendamento particolarmente difficile  da formulare, essendo così strettamente legato a una struttura istituzionale. Una versione potrebbe essere: “ il Congresso avrà il potere di autorizzare obbligazioni federali senza interesse nella forma di moneta o di registrazione  contabili, purché l’ammontare totale di dollari in essere aumenti non più del 5% e non meno del 3%” » (M. e R. Friedman, Liberi di scegliere, Edizioni Club degli Editori, Milano 1981, p. 308) 

Perciò si tratta di qualcosa di molto differente dall'anomico bazooka di Draghi. Per non   parlare  del finanziamento della spesa  pubblica  a piè di lista  praticato  dalla vecchia Banca d’Italia, prigioniera della politica. Diciamo che l’emendamento costituzionale suggerito da  Friedman va contro la discrezionalità  politica propugnata dai keynesiani  e mira a colpire  qualsiasi alleanza  imbrogliona, tra stato e banchieri, restituendo lo scettro a imprenditori,  consumatori, contribuenti. Quindi "meno stato più mercato", come prima, più di prima.
Si dirà dettagli, da studiosi. Però utili.


Carlo Gambescia           

2 commenti:

  1. Ciao Carlo,

    ho letto il tuo post su Friedman e su Draghi,
    ti chiedo un parere a margine del suddetto articolo, sono dubbi sorti da stimoli disparati, nello specifico: l'ascolto di una conferenza pubblica di Nino Galloni, un video di Oscar Giannino e la lettura di un saggio di Maurice Allais. Nella prima si critica il divorzio Banca d'Italia - Tesoro perché foriera delle speculazioni sui tassi iniziate negli anni '80 e seguenti, fino al 1993 con il governo tecnico Amato; questa critica potrebbe rientrare in una visione keynesiana dei rapporti fra stato e sistema bancario, ma in ogni caso ti chiedo coma va vista da un liberale he voglia considerarsi del tutto coerente?
    Aggiungo un altro elemento, Oscar Giannino su uno studio dell'andamento del debito pubblico operato dallo staff del Chicago-Blog (affidabile?) sostiene che il debito sia cresciuto di più nel ventennio '90 - 2000, e nello specifico con la cosiddetta Nuova Repubblica (https://www.youtube.com/watch?v=_830Sz1S5_A), anche su questo, mi chiedo, allora meglio il periodo quando il divorzio non c'era??
    In ultimo aggiungo le annotazioni di Maurice Allais, nobel per l'economia e membro della Mont Pelarin society, che, in uno scritto che hanno ampiamente divulgato i siti complottisti, "La crisi mondiale ai giorni nostri", giunge a chiedere che "La creazione di moneta deve essere di competenza dello Stato e dello Stato soltanto. Tutta la creazione di moneta eccedente la quantità di base da parte della Banca centrale deve essere resa impossibile, in maniera tale che scompaiano i “falsi diritti” derivanti attualmente dalla creazione di moneta bancaria.". cit.
    In sintesi ti chiedo: come deve considerare un liberista l'istituto della Banca Centrale? E come dovrebbe funzionare al fine di regolare al meglio la funzione monetaria?
    Scusami per la lunghezza degli interrogativi e sugli accenni disparati.

    Ti ringrazio già

    Samuele

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  2. Grazie Samuele (allora ti do anch'io del tu).
    Difficile rispondere, tra l’altro io sono sociologo non economista ( e ancora meno tuttologo :-) ). Che dire allora? Moneta e credito, come la guerra, sono cose troppo serie per affidarle ai generali, in questo caso ai soli banchieri. Però, c'è un però, un eccesso di politica, perciò di controlli diretti, rischia di far male nell'uno e nell'altro caso. E’ una questione di equilibrio. Per contro gli autori che citi sono dei controversisti (polemisti, incluso Allais, un nazional-liberale alla francese). Altro che equilibrio: o bianco o nero. E le posizioni e i dati ne risentono… Quindi preferisco non entrare nel merito. Mi chiedi, un liberale, eccetera? Bene, politicamente, un liberale dovrebbe mettere il mercato nella condizione di funzionare… liberamente. Anche quello del credito e della moneta. In questo senso la proposta di Friedman (sul punto hayekiano, suo malgrado), da me ricordata nell’articolo, dei vincoli costituzionali, quindi dei controlli indiretti, affidati alla costituzione e non ai burocrati del Tesoro, resta interessante. Ma come implementarla in Italia, dove si ritiene di avere la “Costituzione più bella del mondo”? Grazie ancora per il tempo che mi hai dedicato.

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