venerdì 26 febbraio 2016

Panebianco, i contestatori bolognesi e l'Articolo 11  
Ideona, 
perché  non schierare in Libia un milione di copie della Costituzione? 




L' aggressione subita  da Angelo Panebianco,  cervello sopraffino  liquidato come "barone della guerra", deve far riflettere su tre  questioni fondamentali: uno, che i pacifisti sono ben organizzati; due, che  il resto del Paese  non è altrettanto organizzato, e che quindi, tre, sembra non essere in grado di "reggere"  moralmente  al  conflitto cui  "prima" o "poi", anche se come "ventre molle" di un'alleanza, l'Italia sarà chiamata.  Perciò il Paese  andrebbe adeguatamente  preparato. E per una semplice ragione:  evitare scontento e di riflesso tumulti di piazza,  capaci di influire negativamente sulla condotta politica e militare della guerra. 
Certo, il Governo spera  in un  "poi" capace di  dilatarsi quanto più possibile nel tempo,  fino a sparire del tutto dall'orizzonte geopolitico. Di qui, i soliti giochini verbali per attenuare,  sopire,  sperando che le cose si risolvano da sole.  In realtà,  la questione della preparazione morale e culturale non può essere ignorata.  Il nemico è alle porte:  in Libia.  E,  volenti o nolenti, dovremo intervenire, in coalizione con altre nazioni.  Qui però le cose si complicano:   come preparare alla guerra  un Paese che da almeno settant'anni ha smesso di "pensare" la guerra?
Ci riferiamo in particolare ad alcune sub-culture politiche, magari ideologicamente contrastanti,  ma da sempre in prima linea contro la guerra, soprattutto se intrapresa nel quadro dell'Alleanza Atlantica: comunisti e ultrasinistra, cattolici tradizionalisti e progressisti,  neo-fascisti, leghisti e,  ultimi arrivati, i grillini, che riassumono  tutti i ricordati umori politici.  Frange, molto ben organizzate, che  una volta iniziate  le operazioni militari in Libia, anche in chiave di solo sostegno logistico, potrebbero comunque impadronirsi delle piazze, sobillando quelle maggioranze,  più o meno silenziose,  che ai cannoni continuano a preferire il burro.   Il mix, per semplificare,  tra "pacifismo ideologico" e "partito delle mamme e dei papà" sarebbe veramente dirompente per l'intero sistema politico. Quindi, prima che le cose precipitino,  si dovrebbe spiegare agli italiani che il burro, talvolta va difeso con i cannoni.  Ma come?    
Che i popoli non amino le guerre è scontato.  Che però debbano comprendere  che in alcune occasioni non si può non combatterle dovrebbe essere altrettanto scontato.  È la lotta per l'egemonia, ossia per la sopravvivenza politica del più forte (Tucidide). Una regolarità o costante metapolitica con la quale anche le persone comuni non possono non fare i conti. Non si è mai in vacanza dalla storia. Purtroppo.
Il quid  italiano  è  credere  di poter far festa, farla franca, e per  sempre; insomma di  ignorare la metapolitica:  avere il burro e usare i cannoni altrui.  Il che è impossibile. Per due ragioni: 1) perché è l'alleato più forte a indicarti il nemico (che poi sarebbe il suo, e quindi anche il tuo);  2) perché, in assenza di un alleato più forte che indichi eccetera, le risorse politiche sono comunque scarse e nessuno concede nulla per nulla, sicché spesso è il nemico a indicarti come tale, prescindendo dai tuoi meriti o demeriti; di qui, conflitti, eccetera.  Altra questione importante,  il quid  italiano,  pur avendo radici profonde (si pensi solo  alle pagine di Pieri sul Rinascimento delle arti e la crisi militare italiana), rinvia al fascismo e alla storia repubblicana.  Ci spieghiamo subito.
Innanzitutto,  discende  dalla crisi di  rigetto, diremmo nazionale, provocata  dall’overdose di bellicismo fascista: quasi metà delle famiglie ebbe il suo caduto,  ricordato (quando e se) non più con  l' orgoglio patriottico in stile "Grande Guerra" ma  con  rancore, non solo verso il fascismo, bensì verso i politici, i  padroni, i baroni della guerra, i profittatori,  insomma l'establishment. Purtroppo,  i danni provocati dal nazionalismo  fascista, melting pot di sindacalismo, populismo e socialismo,  sembrano essere irreversibili.
Dopo di che,  va sottolineata la diffusa e ingenua credenza nel carattere ab aeterno dell' ombrello militare americano, venuto invece meno dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Credenza, che a livello di inconscio collettivo - quindi  non si sa bene perché -  continua ancora a prevalere,  nutrendo quell'atteggiamento di incosciente vacanza dalla storia, la cui dannosità sembra essere, anch'essa, apparentemente, di natura irreversibile.  
Infine, va considerato  il predominio incontrastato, durante tutta la Prima Repubblica ( e se per questo anche dopo)  di culture politiche  totalmente debellicizzate,  per così dire,  storico-vacanziste:  dalla democristiana alla comunista,  quest'ultima  però pacifista con l'occhio rivolto verso Mosca. Emblematico, l’articolo della Costituzione, in perfetta chiave cattolico-comunista,  sul rifiuto,  a priori, della guerra:  un fenomeno, piaccia o meno, sociologicamente tanto regolare quanto il sorgere e il tramontare del sole.  Che, ovviamente non va celebrato ma neppure denigrato.  Al quale, soprattutto,  evitando di  cadere in eccessi nazionalisti e bellicisti,  si deve sempre  essere  preparati, moralmente e militarmente.
E  invece c’è ancora  chi  mette in discussione, per così dire,  le leggi della politica,  come i contestatori  di Panebianco. Per inciso, come si è visto, anche il pacifismo, come tutti i fenomeni sociali e politici,  ha un lato carnivoro... In sociologia politica non esistono gli erbivori. Panebianco è stato aggredito  per i suoi editoriali,  dove si analizzano le cose per quello che sono e non come dovrebbero essere nell' Iperuranio dell' Articolo 11 della nostra Carta Costituzionale.
Per tutte queste ragioni,  preparare  l'Italia alla guerra è  impresa quasi  proibitiva.  Probabilmente la classe politica ne è consapevole  e cincischia:  diffida del patriottismo e della capacità di resistenza morale degli italiani.  E quindi, anche per tale  motivo,  prende ( e perde) tempo.
Ideona, perché contro l'Emirato Sirtico  non schierare  un milione di copie della Costituzione Italiana? In fondo, la nostra non è la più bella del mondo?  Come dice Benigni, del resto.  Al quale - perché no? -  si potrebbe affidare il comando di questo magnifico esercito di carta. 

Carlo  Gambescia

2 commenti:

  1. Caro Carlo, io ti dico un'altra cosa: perché uomini come te non sono alla guida del Paese? Perché mezze figure d'uomini, intrallazzatori e parolai, occupano posizioni politiche tali da condurre l'Italia verso la catastrofe? Non credo di esagerare, ma Clemenceau dubitava delle capacità dei generali a fare la guerra, io dubito fortemente sia dei generali e tanto più dei politici a guidare le sorti di una nazione. La nazionalizzazione delle masse operata dai fascismi e dai comunismi, porta poi, dopo le disfatte, allo svilimento, alla castrazione sociale delle masse con regimi blandi come quelli democratici (blandi nella forma ma tremendi nella sostanza). È automatico per molti Paesi, non tutti però. Dopo i Soviet non è che la Russia sia diventata una vescica pacifista, anzi. Noi italiani abbiamo bisogno dell'uomo forte per poi impiccarlo alla prima piazza disponibile, subito dopo un comitato di affari ne prende il posto (la DC) per poi cederlo ad una cricca ideologizzata (Pci) che mina l'identità nazionale, la cultura dei Padri, la Bellezza delle antiche forme, in cambio di un relativismo etico, un ateismo strisciante che diventerà poi prassi di Stato. La guerra? che la facciano gli altri per noi, perché ci riteniamo superiori antropologicamente (Eco docet), almeno quelli di sinistra così si ritengono.

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  2. Caro Angelo, non esageriamo. Mi è sempre piaciuto studiare la politica, non praticarla. Mi manca il gusto del potere. Ricordo, come carattere, spero non come scienziato, il Don Ferrante di Manzoni: non mi piace comandare né ubbidire :-) Nessuno è perfetto. Grazie del commento e un abbraccio!

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