giovedì 14 gennaio 2016

La miniserie di Negrin e l’ Argentina di Videla
Tango per la libertà?
No, per la società civile



Alberto Negrin è un regista intelligente, che sa fare il suo mestiere, però in Tango per la libertà, fiction  comunque coinvolgente e ben recitata, lo schematismo sembra  prevalere sull’analisi.  Sotto questo aspetto, evidentemente,  non  ha giovato alla miniserie televisiva l’essere tratta dal toccante libro del console italiano Enrico Calamai (Niente asilo politico, che consigliamo di leggere). Un uomo coraggioso e intraprendente, mai dimenticarlo. Che ha impedito, nonostante la "melina" delle autorità diplomatiche italiane, che circa trecento argentini di origine italiana (uomini, donne, bambini) andassero ad allungare la  triste lista dei desaparecidos.  Perciò, una volta scelta la pista narrativa offerta da Calamai,  la fiction  non poteva non essere focalizzata sui lati drammatici e personali.    
Però, forse,  si poteva fare qualcosa di più. La società argentina, con le sue contraddizioni e vuoti sociali, resta troppo sullo sfondo, l'immagine è sfocata. Evidentemente, il pur nobilissimo modello Perlasca (Negrin, tra l’altro ha diretto anche una miniserie sullo Schindler italiano), sul piano dell’analisi, se  si vuole della comprensione sociologica dei fatti, non funziona, ossia, avvince, commuove ma non spiega.  E per quale ragione? Perché trasforma, regolarmente, i cattivi di turno in più o meno perfette incarnazioni del  male assoluto: un male che non avrebbe spiegazioni se non nelle profondità  abissali della cattiveria e follia umana. E la demonizzazione e la banalizzazione del male (Arendt docet) non spiegano un bel  nulla.
Ovviamente, il  volo della morte per eliminare i dissidenti politici - torniamo ai generali argentini -  non è  atto patriottico.  È  cosa terribile, come  imprigionare, per giunta ingiustamente,  e peggio ancora,  torturare le persone.  Però, la critica, anche durissima del "prodotto finale" - il golpe militare in Argentina -  doveva e  dovrebbe essere occasione per indagare o  comunque  per fornire ai telespettatori  qualche spunto di riflessione, su una questione, sociologicamente, “basica”. Quale?  Che nelle società moderne,  in particolare quelle in via di sviluppo,   il predominio dei militari bilancia la debolezza  della società e dei poteri civili. L’Argentina di Videla, non era altro che il sottoprodotto della dittatura peronista e della cultura politica autarchica e populista che aveva impedito, grosso modo, nella seconda metà del Novecento, il rafforzamento  della società civile. Pensiamo a un irrobustimento in grado di veicolare tra  il ceto medio, ancora in formazione, valori liberali. E quindi capace di  fare da lievito alla crescita politica, sociale, economica.  Perciò, il grande desaparecido della società argentina   è  il  borghese moderno.  Insomma,  c’era un vuoto di potere sociale, colmato dai militari, ovviamente a modo loro…  
Il che non significa assolutamente assolvere i generali, ma più semplicemente, evitare fughe nell’emotività e fornire un inquadramento sociologico del sincero  dramma dei desaparecidos, che altrimenti rischia di  risultare incomprensibile  nelle sue radici storiche e sociologiche, se non come frutto avvelenato delle scellerate azioni  commesse da  una banda di criminali (il che non significa, che i generali non lo fossero, “anche”).
Concludendo,  tango per la libertà? No, per la società civile.

Carlo Gambescia                  

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