mercoledì 6 gennaio 2016

Il Presidente americano si commuove ricordando le stragi di bambini
Le lacrime di Obama



Quando un politico piange, o comunque “accenna”  alle lacrime,  si pensa subito a un trucco. Chi ha il comando, dovrebbe essere freddo, razionale, in grado di  prendere decisioni, senza lasciarsi condizionare o addirittura travolgere dai sentimenti. Quindi se piange,  delle due l'una: o finge o fa sul serio e di conseguenza è inadatto alla carica.  Fin qui Machiavelli, che conosceva e  rispettava  la cultura e l’antropologia degli antichi romani e del mondo classico, dove il dolore, e le sue manifestazioni,  erano un fatto pubblico. Né eroi né antieroi. Si usava così.  
Diciamo che, per farla breve,  le lacrime in politica  sono state riscoperte nel Novecento,  con radici profonde  nella cultura romantica dell’antieroe ottocentesco (per alcuni tardo ottocentesco), poi ripresa e  volgarizzata da Hollywood.  E qui arriviamo, finalmente, alle lacrime di Obama.
Fingeva? Faceva sul serio? Difficile dire, culturalmente è un rigido liberal,  imbevuto di radicalismo civile, che confida nel potere federale.  Quindi può darsi che si sia realmente commosso, nel nome di una causa, quella del controllo delle armi, in cui crede fermamente. Non va però dimenticato che Obama è un  Presidente che piace alla gente che piace: Hollywood in testa. E abbastanza abile  nel gestire la sua figura, secondo criteri da largo pubblico (Frank Furedi, in generale,  parla addirittura di "stile politico terapeutico": l'antieroe fragile al centro di una politica intesa come gruppo di supporto...). Obama sa  - o comunque gli dicono - che a una certa America, non solo liberal,  quella che affolla i cinema e si beve i serial,  gli antieroi piacciono, e si regola di conseguenza.
Concludendo,  fingeva? O faceva sul serio? Ripetiamo, difficile giudicare. Diciamo che la politica è un impasto, come qualcuno ha rilevato, di sangue e merda. E pure di lacrime.  


Carlo Gambescia     

     

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