venerdì 18 dicembre 2015

Un articolo di Umberto Silva
L’ansia di Papa Francesco





Sul “Foglio” di  mercoledì  è apparso  il seguente ritratto di Papa Francesco, scolpito - non troviamo  verbo migliore -   da Umberto Silva, psicanalista e scrittore:

Povero Francesco, il suo viso non suggerisce Dio, il paradiso o chissà, è un volto stanco, ansioso di far qualcosa d’importante mentre sempre più faticosamente il tempo si annoda nelle mani delle Moire e la cupa Atropo è pronta a tagliarlo. (*)

Ansia di fare qualcosa di importante.  Silva coglie il punto decisivo, oltre ovviamente intuire cosa si nasconde dietro l’attivismo di Papa Francesco. Ansia,  male moderno,  frutto di paura o comunque di insicurezza, male che ha contagiato tutti, anche la Chiesa.  L’ansioso teme sempre di non farcela. Ma la Chiesa quando ha  iniziato  a temere di non essere all'altezza del suo (augusto) ruolo?  
Per alcuni, dopo che ha rinunciato al sacro, ai grandi riti collettivi, che segnavano la distanza tra la Chiesa benedicente, sulla sedia gestatoria, e le folle,  silenziose, sommesse e supplicanti.  Dopo Pio XII. Per altri, appena  ha  messo  in discussione, seppure ancora timidamente, la sua infallibilità, aprendosi alle profanità del sociale. Con Leone XIII.  Per altri ancora, quando l’umanitarismo, come passo ulteriore, rispetto all’apprezzamento del lavoro umano, in fondo fisiologico,  è penetrato nel cuore dogmatico della Chiesa. Con il Concilio Vaticano II.
Difficile dire. I grande reazionari cattolici, se reinterpretati alla luce della psicoterapia,  ci aiutano a ricondurre, le radici  dell’ansia, alla perdita dell’unità interna  (Riforma) ed esterna ( Illuminismo e Rivoluzione francese). L’ansia, traducendo il pensiero di  Joseph de Maistre in termini moderni, non sarebbe altro che il   frutto avvelenato  della separazione tra cattolici e riformati, tra Stato e Chiesa. Di qui, l’elogio della teocrazia, del dogma e del sacro come recupero della perduta unità. Ma anche - ecco il punto -  la conseguente l’ansia  di "non  farcela".
Insomma, non è facile capire le ragioni profonde dell’ansia che segna il volto di Papa Francesco.  Ne avanziamo una: ansia di recuperare la "fusione"  pre-moderna che però, proprio perché ci si è aperti al moderno, non si può indicare come “meta” ufficiale. Con il  “sospeso” che ne deriva,  angosciante e angoscioso,  che quanto più ci si integra nel moderno, tanto più  si allontana la sospirata riunificazione. Di qui,  l’accettazione, prima provvisoria, poi (come pare) definitiva, di quell’umanitarismo dolciastro che quanto più surroga l'antica unità, tanto più la rimpiazza  con  un insieme di credenze,   valori, istituti e comportamenti che sono l’esatto contrario dell'antica fede, compatta, senza se e senza ma. 
È un percorso in discesa, che, semplificando,  piace, come è giusto che sia, ai moderni. Quindi agevole, se non del tutto piacevole,  perché si svolge tra gli applausi delle folle assiepate ai lati del dolce declivio.  Il che però non significa che il Papa non sia in cuor suo consapevole della china. Di qui, quel volto ansioso e stanco. E quell’ansia di provare a  “fermare il carro”  facendo qualcosa di importante, come scrive Silva.
Forse gli  sarebbe utile un miracolo. Ma Dio sembra  tacere.  E da un bel pezzo.

Carlo Gambescia                     

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