domenica 22 novembre 2015

Terrorismo e “bon ton”
di Teodoro  Klitsche de la Grange



La settimana scorsa  a “Porta a porta” il Ministro degli interni, on.le Alfano ci ha insegnato che è inconsueto ed inaudito per un movimento terrorista (come l’ISIS) pretendere di costituire uno Stato; ricordando a sostegno di ciò come Al-Queda non avesse progettato di farlo.
Quindi, ne avranno concluso i telespettatori, il proposito di fondare uno Stato da parte di chi pratica il terrorismo denota una volontà anomala e (probabilmente) politicamente scorretta. I terroristi facciano i terroristi (forse la Spectre?); gli altri edifichino gli Stati.
Sarà ma la normalità, la regola è proprio l’inverso: chi vuole costruire una nuova sintesi politica (come lo Stato) spesso pratica il terrorismo – variante, per lo più urbana – della guerriglia: è raro il caso che si faccia un nuovo Stato sine effusione sanguinis.
Tra i tanti esempi di ciò, offerti dalla storia, ricordiamo che l’unità italiana era voluta anche da Felice Orsini, che – per realizzarla - insanguinò Parigi con l’attentato a Napoleone III; che l’Algeria moderna è nata dal terrorismo dell’FLN; l’Irlanda da quello dell’IRA; Israele da quello (anche) dell’Irgun zwei leumi; l’ANP da quello dei movimenti di resistenza palestinesi. E potremmo andare avanti per pagine, perché se gratti uno Stato qualsiasi, hai un’alta probabilità di trovare – all’origine – il terrorismo.
Se l’on. Alfano avesse conosciuto uno scritto di un suo grande conterraneo, Santi Romano, si sarebbe accorto che questa “regolarità” era stata considerata, “scoperta” e ricondotta alla “normalità” dell’istituzione (cioè del diritto) già alla fine della seconda guerra mondiale.
Con l’attacco alle Torri gemelle del 2001 questa normalità subì un’eccezione: Al Quaeda non sembrava rivendicare, né ha mai tentato realmente di costituire uno Stato, o almeno una sintesi politica a questo equiparabile: ma questa era l’eccezione alla regola.
Ed era frutto dell’intuizione di Bin Laden che aveva applicato alla guerra “asimmetrica” un consiglio di Sun-Tzu: a fronte di uno Stato – come gli USA - dotato di un enorme potenza (militare, economica e così via) si doveva contrapporre un modo di combattere che puntasse non sulla potenza (sarebbe stato sconfitto in partenza) ma sull’invulnerabilità. Il che voleva dire far si che gli USA non potessero indirizzare su obiettivi determinati ed individuati il proprio potenziale militare. E per far questo doveva rinunciare allo scopo normale (o rinviarlo), cioè a formare una sintesi politica. La quale richiede un territorio, una popolazione e un’organizzazione, come scriveva Santi Romano. Da questi tre elementi fondamentali i primi due, che costituiscono gli obiettivi “paganti”, non esistevano o erano così minuscoli da non essere percepibili.
A differenza di Al Queda, l’ISIS intende costituire un’unità politica; da qualche anno ha un territorio e una popolazione anche se “fluttuanti e provvisori”, come gli altri movimenti rivoluzionari; ha un esercito (pare di 80.000 uomini), delle finanze e un’organizzazione di controllo territoriale. Proprio per questo è vulnerabile agli attacchi e alle rappresaglie dei nemici. Qualche giorno fa curdi e yazidi hanno riconquistato una città occupata dall’ISIS. Russi e francesi bombardano; gli americani intervengono nel territorio uccidendone i capi (con i droni).
L’ISIS riconferma la norma di cui Al-Quaeda è stata l’eccezione: un movimento rivoluzionario è, in nuce, un ordinamento: e di questo ha in forma labile, tutti gli elementi. I quali però gli fanno perdere o attenuare il carattere dell’invulnerabilità  totale (o quasi), e lo espongono alle relative conseguenze sul campo.
In conclusione: la politica, diceva Lenin, non è una festa da ballo. Sartre titolò opportunamente un bel dramma – politico – “Le mani sporche”, a conferma di quel nesso tra politica e lotta (anche armata) che costituisce una delle costanti della storia (e delle istituzioni).
Ma se il movimento terroristico si organizza, acquisendo gli elementi (anche se labili) di uno Stato, il tutto ha un doppio pregio: di aumentare la propria vulnerabilità – e con ciò le possibilità di colpirlo, e così facilita la reazione bellica; e di poterci in prospettiva fare la pace (che presuppone di poter garantire tale status con una propria organizzazione e su una popolazione e un territorio certo).
Perché diversamente da quello che si legge sui rotocalchi, il nemico “normale” è quello con cui si fa la guerra, ma anche la pace.
                                                                       Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


Nessun commento:

Posta un commento