mercoledì 7 ottobre 2015

Riletture: Carlo Mongardini e Maria Luisa Maniscalco ( a cura di), Il pensiero conservatore. Interpretazioni, giustificazioni e critiche, Franco Angeli, Milano 1999, pp. 192, Euro  26,50.   

http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_libro.aspx?CodiceISBN=9788846417596


Cosa  c’è da conservare oggi? Secondo Carlo e Mongardini e Maria Luisa Maniscalco, curatori  di un' interessante antologia, poco o punto.  Leggiamo: «Il conservatorismo contemporaneo, ad esempio, appare ancora per molti aspetti, come espressione  di una cultura borghese che, per bloccare il potenziale rivoluzionario di una società complessa, tende con una ideologia debole a mantenere l’ordine esistente. Esso vive con davanti agli occhi il fantasma della rivoluzione francese e dei fenomeni rivoluzionari che hanno infranto, negli ultimi secoli, il tessuto di  questa cultura. Il principio conservatore è divenuto così storicamente più flessibile e ha cercato di adottare la stessa idea di politica ai mutamenti socio-culturali: dalla politica come momento sacro dell’unità del gruppo alla politica come controllo del cambiamento, alla politica come economia o governo della ragione calcolante» (p. 23). Di qui, «la cristallizzazione del presente» e «il tentativo di fermare la storia sull’interpretazione della vita e sugli interessi oggi dominanti». Sicché, « oggi non ci sono  più conservatori perché  non c’è più nulla  a cui si riconosca un valore da conservare. Tutto ricade  nel brodo primordiale della socialità  a cui  si attribuisce valore costruttivo , ma che finisce col legittimare  il predominio degli interessi dominanti». Conclusioni: « Al vecchio conservatore non rimane paradossalmente che lottare  per il progresso, per uscire dal recinto del presente e ridare  senso alla storia» (p. 24).
Carlo Mongardini
Non sapremmo come commentare… Siamo a dir poco perplessi. Perché,  in verità,  sentiamo odore ( o maleodore e ci dispiace per i curatori, soprattutto per il professor Mongardini, a nostro avviso, tra i più acuti sociologi italiani) di conservatorismo rivoluzionario. O quantomeno di una propedeutica cognitiva, probabilmente non del tutto consapevole, indiretta (tipo acqua al mulino...), in stile professori anti-Weimar. E, l’ultima volta, non andò proprio bene. La cosiddetta  Rivoluzione Conservatrice, quella sì, fu  brodo culturale, della peggiore  reazione antiliberale e antidemocratica del secolo scorso. Che favorì il grande  macello europeo. Quindi attenzione: mai dimenticare la lezione del caro vecchio Max Weber: si può essere rivoluzionari oppure conservatori, ma non rivoluzionari e conservatori insieme. A meno che non  si sia conservatori-rivoluzionari nel senso di un Cavour,  di un Churchill, di una Thatcher...  
Al di là di questo rilievo,  l’antologia è sociologicamente  ben costruita  intorno al pensiero di  autori del calibro di Simmel,  Mosca, Pareto, Michels, Ortega, Mannheim, Huntington, con cenni (non antologizzati però) all’opera di Aron e di Luhmann. Meno comprensibile, l’inclusione di Charles Wright Mills, fustigatore a cottimo di una società statunitense uscita vincitrice, e giustamente orgogliosa,  dalla Seconda Guerra Mondiale. Avremmo aggiunto  il Carl Schmitt di Politiche Romantik, eccellente contraltare conservatore all’eccesso di schematismo post-rivoluzionario e socialistoide di Mannheim,  nonché pescato qualche cosina  dal Talcott Parsons  di Politics and Social Structure (in particolare dalle Parti II e IV). 
Maria Luisa Maniscalco
Alcuni spunti.  Simmel,  per l’ approfondimento  del conflitto  tra forma e contenuto, quale invito  - di cui  ogni  conservatore dovrebbe far tesoro - a non confondere la forma istituzionale, storicamente cangiante, o transeunte, dalle regolarità o costanti del politico ( o del "metapolitico") che invece ciclicamente si ripetono. Di qui, l’importanza  di  élites politiche (Mosca, Pareto, Michels) degne del proprio ruolo politico ma anche consapevoli, per dirla con Michels che « il primo segreto del continuato potere è la continuata conquista». Insomma, mai dormire sugli allori.  Ne consegue,  la necessaria diffidenza, di ogni buon conservatore, sia nei riguardi del tradizionalismo, come cristallizzazione di un mitico e disneyano passato che dalle agghiaccianti simmetrie giacobine di ispirazione rivoluzionaria   (Ortega). Ma non nell’attribuire giusto valore al presente - in termini di vero e proprio "stile" politico -   quale ultima tappa del passato (Mannheim).
Notevole, infine, il contributo di Huntington, dove si  individuano  in chiave analitica, sei  aspetti fondamentali del pensiero conservatore,  aspetti che lo studioso statunitense fa risalire al pensiero di Burke ( e aggiungiamo Tocqueville,  tra l'altro stranamente assente dai contributi antologici): 1) l’uomo, e di riflesso la società, hanno matrice religiosa; 2) ogni  società rappresenta  il  prodotto organico di una lenta crescita storica; 3) l’uomo è un  complicato impasto di istinto e ragione: di qui, l’importanza di comportamenti dettati dall'esperienza e dalle consuetudini; 4) i diritti degli uomini derivano dai doveri sociali e comunitari; 5) alcuni processi come la differenziazione, la gerarchia, la  leadership sono il portato inevitabile della natura sociale dell'uomo e in particolare di ogni società civile; 6) nessun cedimento, infine, sull'assioma circa la  bontà presuntiva delle istituzioni  già stabilite e ordinate, rispetto a ogni progetto non ancora sperimentato.  
Sulla base di questi «pre-requisti istituzionali», "presentismo" o meno,  il conservatorismo potrebbe tuttora giocare un ruolo politico fondamentale.  Potrebbe… Per quale ragione il condizionale?  Perché sono pochi quei politici che pubblicamente ammetterebbero di riconoscersi nei sei punti sopra indicati. Paura, di non essere popolari? Certamente.  Diciamo che, oggigiorno, la scelta conservatrice richiede una buona dose di coraggio, soprattutto  per opporsi ai mitemi imperanti  di  certo progressismo melenso  ma  volpino e  dalla scomunica mediatica facile.   E,  purtroppo  chi il  coraggio non ce l'ha, come osservava Don Abbondio,  classico esempio  di pseudo-conservatore pavido,   mica  se lo può dare.  


Carlo Gambescia                  

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