venerdì 6 febbraio 2015

“Lo schiaffo alla Grecia”
Una questione complessa




Sullo “schiaffo alla Grecia”,  Jens Weidmann,  economista tedesco,  ma soprattutto  presidente della Deutsche Bundesbank dal 2011,  ha fatto un’osservazione interessante.

«La decisione del nuovo governo greco di fermare la cooperazione con la Troika dimostra quanto sia impopolare la condivisione della sovranità nazionale con creditori stranieri (…). Questo dimostra quanto sia politicamente difficile accettare l'influenza europea sulle politiche nazionali».

“Impopolare”, esatto. Allora, quando una politica economica è impopolare, che cosa si deve fare? Andare avanti? Fermarsi?  Mediare? Dipende dai livelli di controllo e  di obbedienza sociale. Ora, l’Unione Europea, sotto questo profilo è estremamente debole:  non c’è un potere politico in grado di decidere e di indicare il nemico secondo una scala di pericolosità,  non ci sono né esercito né polizia federali, eccetera.  Quindi è corretto parlare di influenza europea, come fa Weidmann: del  potere non di obbligare direttamente ma di influire indirettamente, come nel caso della cosiddetta "Troika", sulle decisioni degli Stati,  in termini  di  diritto privato,  non pubblico. Di conseguenza, come nel caso della Grecia,  non si possono  inviare le truppe per sostenere un governo amico o combatterne uno nemico,  ma si può  minacciare  di  chiudere i rubinetti del credito. In fondo, tutto è più soft...  Il che però non facilita né il dialogo, né la mediazione,  né il passaggio a qualche forma di action, e  per una precisa ragione:  perché, in ultima istanza, la minaccia è soltanto economica: l’intensità della forza  deterrente è bassa,  dal  momento che  resta  aperta una via di fuga. Quale? Quella, come in ogni forma contrattuale privatistica,  di  non pagare i debiti contratti. E se per un attore  privato le principali remore a fare un passo indietro,  sono rappresentate dal disonore sociale,  nel caso di un attore pubblico, il rifiuto di onorare un debito contratto all’estero, al contrario, assurge a simbolo di onore politico, soprattutto nelle democrazie (le antiche “Repubbliche”) dove il popolo per ragioni di legittimità politica deve essere ascoltato se non  vezzeggiato.  Di qui la difficoltà, come appunto osserva  Weidmann, di prendere per gli Stati decisioni “impopolari”.
Ovviamente, non intendiamo sostenere la necessità di un’Unione europea  costruita (come il vecchio Patto di Varsavia) sui carri armati, bensì di evidenziare  come sia  per tutti  difficile la  gestione di un quadro politico  come quello delle relazioni tra  attori pubblici, basati di regola  sulla diffidenza e sui rapporti di forza.  E non -   nonostante  gli auspici degli europeisti -   in termini di relazioni tra attori privati  fondate  sulla reciproca  fiducia e sul  leale rispetto  dei contratti.
In conclusione, la “costruzione europea”  per essere tale (accantonando la questione della sua evoluzione culturale, che richiede secoli), implicherebbe  l’esistenza  di un forte centro politico in grado di imporre le sue decisioni “politicamente”. E quindi, come è sempre accaduto in ambito internazionale,  anche con l' uso della forza.  Ora, un forte centro politico, di regola, nasce  intorno a capi autorevoli e/o carismatici, oppure per reazione alle minacce di un nemico esterno; in alcuni casi il processo di unificazione può essere favorito da un  forte alleato esterno, in funzione di delega geopolitica dei poteri militari: alleato dal quale però si deve comunque dipendere.  Quindi, come sembra  aver intuito Weidmann,  la questione greca è molto più complessa di quel che a prima vista  sembra apparire.  Non si tratta solo di uno schiaffo.
Carlo Gambescia           
            

Nessun commento:

Posta un commento