mercoledì 28 gennaio 2015

  Un (quasi) elogio dell'evasore fiscale 
L' alfiere dell'eticità prossima ventura  
di  Teodoro Klitsche de la Grange



C’è un discorso-tipo, che fa parte del cerchiobottismo nazionale e di cui (anche) la recente apertura dell’anno giudiziario ha offerto (qualche) ripetizione: quando si parla, specie in discorsi ufficiali, di corruzione che si associa immediatamente all’evasione.
Così si collegano due tipi di comportamenti illeciti che non hanno, sul piano fattuale, nulla in comune (anzi sono l’opposto, più che il diverso). Come se si associassero stupro e pesca di frodo, estorsione e atti osceni, furto e abuso edilizio.
Perché dei due comportamenti l’uno richiede un pubblico ufficiale, l’altro chiunque; il primo consiste nella condotta del funzionario che percepisce (per lo più) denaro altrui per compiere un atto del proprio ufficio; il secondo in chi non da denaro proprio allo Stato; la corruzione richiede un corrotto ed un corruttore mentre l’evasione si può consumare in solitario.
In termini politologici, il primo è reato del governante (e tassatore), il secondo del governato (e tassato). Ciò stante  - e data la diversità - è bene spiegare il perché della (quasi) costante associazione (da parte degli oratori “ufficiali”) e se - a prescindere che ambedue fanno parte della classe “reato” – tra i due comportamenti non vi sia alternatività ed opposizione piuttosto che (la evocata) vicinanza e simiglianza.
Quanto alle ripetute associazioni questa risponde all’esigenza di accomunare governanti e governati, se non nella virtù almeno nei vizi. Si è uguali, gli uni e gli altri, non solo per Costituzione (art. 3), ma più ancora, per conformazione etica. Tutti peccatori e tutti bisognosi di espiazione. Solo che ai primi compete la funzione non tanto (e non solo) di dare l’esempio, ma ancor più quella di cambiare le cose – almeno per la classe politica e i massimi livelli della burocrazia - ragione per cui hanno il potere. E non sembra, a parte qualche legge – manifesto, che ardano della voglia di esercitarlo.
Governanti e governati uniti dalla facoltà di trasgredire, sono opposti in quella di comando: gli uni comandano, gli altri obbediscono. Con le conseguenze che ne derivano, specie in rapporto alla responsabilità.
Quanto al secondo aspetto: è vero che l’evasore sottrae risorse alle casse pubbliche, ma quelle costituiscono il grosso della torta che i corrotti si dividono.
Per funzionare eticamente (e contabilmente) il ragionamento criticato avrebbe bisogno di “purgare” il primo termine: ad una pubblica amministrazione corretta (e non corrotta), l’evasore trasgredisce perché fa mancare il carburante. Ma se si accompagna la deprecazione contro l’evasione a quella contro la corruzione, il tutto diventa intrinsecamente contraddittorio.
Perché in uno Stato sgangherato, con una burocrazia inefficiente e corrotta, l’evasore non è più un manigoldo, ma è lo strumento, ad un tempo, di riequilibrio etico ed economico.
Economico perché mantenere una repubblica inefficiente è spreco di risorse: come le miniere di carbone in Inghilterra, i telai a mano o i carretti trainati dagli asini. Sul piano etico poi sottrarre denaro (o altro) significa toglierlo, in buona parte, proprio ai corrotti (e ai loro accoliti e beneficiati). In questo senso l’evasore non è più un reo, ma uno strumento di giustizia (distributiva e retributiva): della prima perché, in genere, chi evade è meno ricco di chi è corrotto; ma soprattutto della seconda, perché, quasi sempre, chi evade fa un lavoro retribuito sul mercato, e quindi utile a chi lo retribuisce; chi governa decide da se il denaro da prelevare, a chi e come destinarlo, prescindendo – per definizione – dalle esigenze di mercato.
Nel primo caso c’è consenso, nel secondo comando e quindi imposizione.
In definitiva se Adam Smith scriveva che il contrabbandiere è il martire del libero commercio, l’evasore, in una situazione decomposta come quella italiana, potrebbe diventare l’alfiere dell’eticità prossima ventura.
Teodoro Klitsche de la Grange



Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).

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