martedì 4 novembre 2014

Il  procuratore capo di Roma ha ricevuto la famiglia Cucchi
Incontri pericolosi



Comprendiamo umanamente il comportamento di Ilaria Cucchi.  E le siamo vicini, perché condividiamo sul piano soggettivo i suoi stessi dubbi se non addirittura alcune certezze. Però, al tempo stesso,  non  possiamo non definire irrituale ( a dir poco) il comportamento del Procuratore Capo di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, che ha  ricevuto  la famiglia di Stefano Cucchi. Quale  senso attribuire all’incontro?  Uno solo. Quello del  “gesto riparatore", perché altri giudici avrebbero assolto quando invece si “doveva” condannare…  E  secondo quale  dettato?  Per dirla elegantemente,  quello  della pubblica opinione. Sicché avrebbe vinto la pressione sociale. Un fattore extragiuridico:  sociologico. E non importa, come dire, la sua caratura.   E per quale ragione?   Perché  tra  pubblica opinione e piazza c’è una differenza di grado non di specie...  Insomma,  il  risultato della pressione esercitata su un giudice non cambia in base alla qualità della medesima,  perché a farne le spese è sempre l'autonomia, o se si preferisce indipendenza, del magistrato,  definito "colpevole" (lui, il giudice...), come talvolta si legge,  per  aver  emesso una sentenza "impopolare"...   Inoltre, si va a minare, punto come vedremo fondamentale,  il  sistema di norme oggettive ( e quindi di eguaglianza davanti alla legge)  a garanzia delle parti.  Ad esempio, quanti soccombenti  in giudizio  vengono ricevuti dal  Procuratore Capo di Roma?
Una precisazione: non abbiamo la presunzione, come tanti,  di asserire la nostra conoscenza degli atti processuali, che si è limitata alla lettura dei resoconti apparsi sui  giornali. Come accennavamo,  a pelle, crediamo che Cucchi sia stato pestato, poi trascurato colpevolmente dai medici. Ma si tratta di una nostra sensazione fondata sul pre-giudizio nei riguardi di un ambiente, spesso segnato da abusi di potere, violenze e indifferenza: se A, allora B… Tutto qui.
Per condannare  servono però  prove e non concatenazioni logiche, morali e sociologiche, per quanto ben formulate.  Evidentemente,  i giudici  della corte d'appello,  a differenza di altri colleghi coinvolti in processi altrettanto importanti, ma il cui esito risultava "condiviso" dalla pubblica opinione e spesso da piazze sobillate ad hoc, hanno ritenuto non sufficienti le prove contenute e raccolte  negli atti processuali.  Il che, seppure sgradevole dal punto di vista delle  convinzioni   soggettive,  è confortante  sotto l’aspetto oggettivo:  del diritto moderno,  fondato, anche proceduralmente, su  principi generali  di legalità cui il giudice deve attenersi. Certo, un fattore di soggettività legato ai  criteri di valutazione delle prove,  persiste sempre, anche nel giudice. Se ci si passa l'espressione, nessuno è perfetto... Tuttavia  è bene ricordare che se è vero che il garantismo vieta il pestaggio dei detenuti in attesa di giudizio è altrettanto vero che impone al giudice, nell’incertezza o scarsezza  delle prove,  di preferire, in virtù dello stesso principio generale,  all’ innocente in carcere, il colpevole in libertà.  Ovviamente,  una volta  emessa la sentenza,  i giudici, come  sta accadendo nel processo Cucchi,  potranno comunque  essere  ritenuti giusti o ingiusti in base alle soggettive divisioni socio-morali provocate dalle loro decisioni… Però,  anche per questo motivo,  esistono nel moderno diritto processuale più gradi  di giudizio. Tre possibilità  come in Italia, di  riformare le sentenze.
Insomma, la giustizia deve fare il suo corso. Senza subire pressioni di alcun genere. E proprio per quest’ultima ragione, squisitamente giuridico-legale, il Procuratore di Roma non avrebbe dovuto incontrare la famiglia Cucchi.

Carlo Gambescia  

2 commenti:

  1. "Perché  tra  pubblica opinione e piazza c’è una differenza di grado non di specie..."

    Perfetto, i miei complimenti, a volte per cercare "giustizia" si rischiano torti.

    buona giornata

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  2. Come sempre, caro Carlo (Pompei), hai colto il succo :-)

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