lunedì 25 giugno 2012

Dispiace dirlo ma Prima Pagina,   rassegna stampa di Radio 3,  è  in realtà  la  mattutina  rassegna dei  peggiori vizi  del giornalismo italiano: faziosità ( e non importa se di destra o sinistra )  e  strizzatine d’occhio o    velenosi silenzi verso  colleghi e politici in base alle  egocentriche convenienze del conduttore settimanale. Insomma, un brutto spettacolo all'insegna della citazione mirata,  ovviamente quasi sempre   a servizio   del   familismo  individuale  e  in subordine  di  cordata.  Certo, per accorgersi e comprendere   il senso riposto dei  messaggi cifrati   si deve essere addetti ai lavori e quindi (ri-)conoscere personaggi, testi recitati e principalmente i sottotesti… E qui  giunge a proposito  il post di oggi scritto da Roberto Buffagn,  il quale pur non essendo giornalista,  di teatro (soprattutto  se  "esistenziale") e storia patria  un pochino se ne intende.  Buona lettura. (C.G.) 


L’ Italia® di Roberto Buffagni vs  la Ruritalia di Alessandro Campi

di Roberto Buffagni




In questi giorni sto lavorando in teatro, e osservo i consueti orari di lavoro teatrali. Insomma, si comincia nel primo pomeriggio e si finisce verso le dieci di sera. Tra cena e chiacchiere, finisco per andare a letto tardi, ma per inveterata e paradossale abitudine continuo a svegliarmi alle prime luci. Faccio toilette, mi vesto, esco per le strade ancora deserte alla ricerca di un bar aperto, tiro in lungo la colazione e la lettura dei giornali, passeggio un po’, poi mi arrendo e rientro. Guardo l’orologio. Mancano sette ore alle due del pomeriggio, orario d’inizio delle prove. Pensando che nell’afosa controra, invece di schiacciare un pisolino con l’aria condizionata al massimo, mi toccherà di lavorare in una soffocante sala prove, sento montare una generica irritazione erga omnes: lo stato d’animo più appropriato per interessarsi alla cronaca politica italiana. Dunque accendo la radio per seguire Prima Pagina, la rassegna stampa di Radiotre, e di tanto in tanto, per ammazzare il tempo e sfogare un po’ il nervosismo, telefono alla redazione per intervenire.
La scorsa settimana, a condurre Prima Pagina c’era Alessandro Campi, politologo, docente universitario, editorialista del “Mattino”, già ai vertici della Fondazione culturale di Gianfranco Fini. Mio malgrado, mi aveva fatto una buona impressione. Dico mio malgrado, perché nello stato d’animo in cui ascoltavo la trasmissione avrei preferito poter inveire contro un conduttore sciocco e/o fazioso, tipo il Gianni Barbacetto che aveva preceduto Campi, un personaggio ideale per fantasiose variazioni sui temi “Povera Italia” e “Cortigiani vil razza dannata”. Invece Campi si dimostrava preparato, equilibrato, sintetico, anche abbastanza eloquente se si esclude il suo curioso vezzo di ripetere le ultime parole di quasi tutte le frasi. Quanto alle sue posizioni politiche, di una destra seria, moderata, democratica, prezzolin-weberiana, patriottica ma correttamente incravattata e liberale, di primo acchito le trovavo persuasive, condivisibili, persino encomiabili; poi, resomi conto che da esse ogni riferimento alla presente realtà politica e sociale italiana era scrupolosamente espunto, e sostituito dalla presupposta esistenza di un dignitoso paese anglo-europeo non meno immaginario dei Granducati delle operette Belle Époque, le avevo apprezzate per la loro impeccabile coerenza drammaturgica. Chi non ricorda  la proverbiale   Ruritania del  britannico  Anthony Hope, autore  de   Il  prigioniero di Zenda,  da cui   furono tratte operette, commedie musicali,  film? Bene,  accettata  la  convenzione che l’azione si svolge in una immaginaria  Ruritalia, lo spettatore di buon gusto sospende l’incredulità e non può fare a meno di condividere le valutazioni di Campi.
Venerdì scorso il tema centrale della rassegna stampa era la vicenda della trattativa Stato-Mafia, con le relative intercettazioni telefoniche di Nicola Mancino ex Ministro dell’Interno, Loris D’Ambrosio consulente giuridico della Presidenza della Repubblica, e del Presidente Napolitano. Come tutti sanno, alcuni giornali e commentatori, soprattutto Marco Travaglio su “Il fatto quotidiano”, accusano la Presidenza della Repubblica di avere esercitato pressioni sui magistrati che conducono le inchieste per evitare coinvolgimenti di importanti uomini politici; altri giornali e altri commentatori sostengono che a) non è vero che la Presidenza della Repubblica abbia esercitato le dette pressioni b) in ogni caso, accusare la più alta figura istituzionale italiana è in generale e sempre atto gravemente irresponsabile, ma ancor più e peggio in questo difficile momento di crisi economica e politica. Campi dà correttamente conto di entrambe le posizioni ma propende per la seconda, l’unica compatibile con la sua Ruritalia. Detto altrimenti: con la sua Italia,  manierato Granducato da operetta.
Cogliendo al volo l’occasione di polemizzare, telefono a Campi per dire la mia. Me lo passano. Purtroppo, sia per i lacci e laccioli delle buone maniere, sia perché professionalmente traviato dalla convenzione drammaturgica stabilita da Campi (Ruritalia = serietà, moderazione, rispetto delle forme), invece di lanciarmi in una invettiva liberatoria contro Giorgio Napolitano espongo pacatamente la seguente opinione: “Fondate o no che siano le critiche a Napolitano per la vicenda in questione, il punto è questo. Finché la Presidenza della Repubblica rimane, come da dettato costituzionale, una figura di garanzia istituzionale al di sopra delle parti, è giusto combattere e zittire chiunque le rivolga accuse politiche, perché si rende colpevole, per così dire, di lesa maestà dello Stato. Ma se il Presidente della Repubblica si fa attore politico di primo piano, come Giorgio Napolitano quando insediò il governo Monti senza indire nuove elezioni e, ancor più, quando si volle regista della nostra partecipazione alla guerra contro la Libia, paese con il quale egli stesso aveva stipulato, appena due anni prima, un solenne trattato di amicizia; allora, il Presidente della Repubblica deve accettare le conseguenze del nuovo ruolo da lui scelto, ed esporsi alla critica politica, anche la più grave e severa.”
Nella sua replica Campi, che, più esperto del dibattito pubblico, ha più presenza di spirito, e soprattutto la Ruritalia l’ha inventata lui, mi frega subito, e mi ribatte che, “Certo, tutti hanno diritto di criticare il Presidente della Repubblica, ci mancherebbe: ma queste non sono critiche, sono accuse vere e proprie, e di una gravità eccezionale, che mette a rischio il tessuto istituzionale, etc.” E via che si volta pagina.
Trenta secondi per illuminare finalmente il popolo italiano, e li ho vanamente sciupati! Vorrà dire che ripiegherò su questa tribuna che Carlo Gambescia mi mette generosamente a disposizione, e dirò la mia per iscritto, così a) sono più bravo di Campi; b) nessuno mi può chiudere il microfono, al massimo smette di leggere; c) la convenzione drammaturgica e l’ambientazione della vicenda la scelgo io, e scelgo l’Italia di R. Buffagni + 59 milioni e rotti di italiani, non l’immaginaria e compunta Ruritalia di A.  Campi.  Per evitare incresciose controversie sui diritti d’autore, contestualmente registro e deposito il marchio Italia®.
Ora, nel merito della questione la mia è questa. Napolitano ha fatto, direttamente e indirettamente, pressione sui giudici per salvare il suo collega Mancino e soprattutto il ceto politico del quale lui e Mancino sono esponenti di primo piano? Ma certo che sì. In Italia®, non mi risulta che sia ufficio o anche solo abitudine del Presidente della Repubblica telefonare a singoli magistrati con cadenza settimanale, mensile, settennale: dunque, se Napolitano chiama dei magistrati coinvolti in una delicatissima inchiesta politica, anche qualora si limitasse a chiedergli che tempo fa da quelle parti, come è andata la pagella dei figli e cosa ha preparato di buono per il pranzo la loro signora, eserciterebbe una pesante, diretta, inequivocabile pressione su chiunque, tra di loro, non ignori beatamente come va il mondo. (Certo, in Ruritalia il Presidente della Repubblica presiede anche il Consiglio Superiore della Magistratura, e dunque se telefona ai magistrati non fa che comportarsi da padre premuroso, al massimo un po’ troppo apprensivo).
Sulla trattativa Stato-Mafia, poi, in Italia® si pensa, generalmente, quanto segue. Senza bisogno di ripescare dai libri di storia del liceo Giovanni Giolitti e i suoi sistematici accordi con i capobastone per garantirsi le necessarie maggioranze elettorali in Meridione, che indussero Gaetano Salvemini a definirlo plasticamente “ministro della malavita”, basterà ricordare la vicenda di Ciro Cirillo, assessore ai lavori pubblici della regione Campania che nel 1989 fu rapito dalle Brigate Rosse e liberato, dietro versamento di un cospicuo riscatto, grazie alla mediazione determinante della Nuova Camorra Organizzata di don Raffaele Cutolo; e confrontare la vicenda con le dichiarazioni plutarchiane divinizzanti la ragion di Stato rilasciate da quasi tutto il ceto politico italiano in occasione del rapimento di Aldo Moro. Dunque, in Italia® R. Buffagni e gli altri italiani non trasecolerebbero, qualora venisse provata anche in sede giudiziaria una trattativa Stato- Mafia, condotta allo scopo di salvare il posto e/o la pelle a politici di rilevante importanza per il corretto funzionamento del backstage politico-economico italiano, l’unico che conti davvero in Italia®; o meglio, essi trasecolerebbero soltanto per l’eventuale, inaudito sfociare in una sentenza di condanna giuridicamente ineccepibile di un siffatto procedimento giudiziario. (In Ruritalia, invece, a quanto disse ai radioascoltatori di Prima Pagina di sabato 23 giugno 2012 il suo inventore Campi, se un alto magistrato, intervistato da un giornalista, nega in toni ultimativi di avere ricevuto pressioni di sorta dal Presidente Napolitano, è facile, naturale, ragionevole e doveroso credergli subito senza il minimo dubbio o retropensiero).
Quanto poi alla questione più complessa e teoreticamente meno univoca, se sia giusto o meno in sé e per sé rivolgere pubbliche accuse infamanti a chi rivesta la più alta carica istituzionale dello Stato, in Italia® la si pensa in maniere diverse. Una minoranza propende decisamente per il Fiat justitia et pereat mundus. Usualmente, costoro si dividono nelle seguenti categorie: a) minori di anni 18; b) nemici politici accaniti dell’accusato. Un’altra minoranza propende per difenderlo a oltranza, ma all’analista essa non propone enigmi politici, morali o psicologici, essendo formata esclusivamente da coloro che rischiano di essere trascinati nella sua caduta. Un’altra minoranza, più consistente e altrettanto poco enigmatica, propende per difenderlo finché sia possibile farlo senza rischiare in proprio. Una maggioranza o zona grigia è incerta, perché da un canto ha paura del caos che potrebbe conseguire alla Endlösung morale di tutte, tuttissime le autorità politiche e istituzionali italiane; dall’altro, confusamente sente che se si può stendere il mantello di Noè sulle vergogne di un ceto politico del quale, nel complesso, ci si fida, diventa invece politicamente autolesionista e psichicamente devastante passare sopra alle infamie di un sistema esageratamente marcio, irriformabile, impotente e maligno insieme. ( nella Ruritalia di Campi, invece la convenzione drammaturgica esige che l’Italia® non esista, e dunque il problema non si pone).
Personalmente, la penso così. L’educazione cattolica mi ha vaccinato contro il moralismo. In Vaticano si è visto, si vede e si vedrà di peggio, e non per questo i Vangeli sono falsi, Dio non esiste, e tutti i preti sono pedofili imbroglioni. Ciò premesso, l’Italia® è interamente sita nell’aldiquà. Secondo il mio personale avviso, Giorgio Napolitano è direttamente e coscientemente responsabile di atti politicamente e moralmente ben più gravi di un insabbiamento. Dico Monti, dico Libia, e per me basta e avanza. Non sono un giurista, non so se Monti e Libia configurino anche fattispecie di reati, e francamente non me ne importa un gran che. Ricordo che sia l’operazione Monti, sia l’operazione Libia, hanno richiesto vaste campagne di manipolazione mediatica dell’opinione pubblica nelle quali s’è fatto larghissimo abuso di intercettazioni telefoniche, inchieste giudiziarie, e concetti giuridico-filosofici quali i “diritti umani”. Bene. Non so nell'immaginaria  Ruritalia del professor Campi, ma qui in Italia® abbiamo un proverbio: “chi la fa, l’aspetti.”

         Roberto Buffagni

(*) Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...



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