martedì 1 aprile 2014

Destra, può bastare l’anti-europeismo?


La politica nelle  democrazie contemporanee,  basate  sul dibattito pubblico,  va  sempre  studiata a due livelli: a) quello delle esternazioni (ciò che si dice); b) quello dei fatti concreti (le decisioni).
Si possono vincere le elezioni perché si è  individuato lo slogan giusto. E sia.  Ma  prendere più voti  non significa saper governare e soprattutto essere capaci di  mantenere, o comunque "gestire",  le promesse. Insomma, la buona politica dei "fatti" deve sempre prevalere.  
In Italia, Berlusconi  ha purtroppo rappresentato la “politica delle  parole”. Di riflesso, la destra italiana - un mondo politico estremamente composito -   si è totalmente disabituata  a  prestare attenzione al rapporto tra parole e fatti.   
Ora, a destra,  sembra essere  molto in voga  l’antieuropeismo. Anche qui siamo davanti a un puro e semplice slogan, che per un verso interpreta il giusto malessere dei cittadini verso le rigorose politiche di bilancio, per l’ altro  indica nell’Unione Europea, ma ingiustamente,  la causa di tutti mali economici. Di qui, il possibile corto circuito tra le elevate  aspettative di un elettorato, come mostrano i sondaggi, antieuropeo,  e l’impossibilità per una serie di ragioni (politiche, economiche, giuridiche) di “uscire” dall’ Europa.
Non vogliamo dire che un passo indietro sia del tutto  impossibile, ma un politico, soprattutto se di destra (quindi conservatore e realista)  dovrebbe evitare fughe in avanti ed eventualmente lasciare alla sinistra il mercato delle (mancate)  promesse elettorali.              
Si dirà:  nelle democrazie, la politica deve attenersi al voto dei cittadini. Certo, ma la politica, come è noto, è arte del possibile.  Del resto, prima della crisi economica,  gli italiani erano ardenti europeisti.  Ora non lo sono più.  In pochi anni  sembra essere  cambiato tutto.  Magari, tra qualche, superata la crisi, sarà di nuovo euromania…  Allora, che fare? 
Diciamo che una destra attenta ai fatti e non alle esternazioni dovrebbe valutare concretamente i  pro e  contro non congiunturali ma, come dire,  epocali. Insomma, dovrebbe cercare di  andare oltre i calcoli opportunistici per pensare in chiave storica. Il che non sempre è facile.  Ma  almeno provarci, no?   

Carlo Gambescia 


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