giovedì 27 marzo 2014

Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Liberilibri, Macerata 2010, pp. 378,  euro 19,00 - 


http://www.liberilibri.it/giancristiano-desiderio/218-vita-intellettuale-e-affettiva-di-benedetto-croce.html



Benedetto Croce tra Risorgimento, fascismo, guerra e dopoguerra
 di  Teodoro Katte Klitsche de la Grange



Ad oltre mezzo secolo da quella, classica, di Nicolini, esce questa biografia di Croce, ad opera di Giancristiano Desiderio. Nato l’anno della terza guerra d’indipendenza e morto nei primi anni della Repubblica, la vita di Croce ha (quasi) coinciso con il periodo monarchico della storia unitaria. Nutrito degli ideali risorgimentali di costruzione dello Stato nazionale e liberale, nel crepuscolo della vita il filosofo si trovò a dover operare per la conservazione di quello Stato e far risorgere la nazione sconfitta.
Desiderio, nei dieci capitoli svolge un accurata e gradevole esposizione della vita e del pensiero del filosofo, attenta non solo agli eventi della vita pubblica, ma anche ai rapporti d’amicizia (primo fra tutti quello con Giovanni Gentile) e affettivi.
L’opera investe ambiti estesi e differenti, perché il pensiero e la vita di Croce furono ricchi e l’attività (letteraria, filosofica, politica) ininterrotta e lunga, per cui, nella spazio di una recensione, non è dato render conto di tutto.
Ci soffermiamo perciò sul dilemma di Croce nell’ultimo periodo della sua vita. Il Risorgimento aveva coniugato strettamente la libertà (politica) della comunità a quella individuale. L’Italia era stata voluta come patria libera e indipendente di cittadini liberi. Non c’era contrasto tra libertà degli antichi  e quella dei moderni (per dirla à la Constant): l’una e l’altra erano conseguenza dello Stato liberal-monarchico.
Questo vincolo s’incrinò gravemente con il fascismo e si spezzò con l’entrata in guerra. Come scrive Desiderio: “Ma, una volta coinvolta anche l’Italia in guerra, cosa sperare e augurarsi: la vittoria o la sconfitta? La Grande guerra, che pur cambiò il mondo, fu per l’Italia ancora una guerra dallo spirito risorgimentale… I due doveri – verità e patria -, per quanto si cominciasse a snaturarli e pervertirli, erano ancora tra loro in equilibrio e coniugabili l’uno con l’altro e Croce li tenne insieme nel suo spirito… Con la seconda guerra mondiale le cose erano ormai completamente diverse… Una vittoria dell’Italia fascista alleata della Germania nazionalsocialista avrebbe voluto dire il trionfo delle barbarie e l’asservimento dell’Europa e dell’Italia. La guerra non era conciliabile con il Risorgimento: ne era la negazione. Non era Croce ad essere cambiato. Era la patria che non era più la stessa. Ecco perché Croce non parlò di «fine del patriottismo» bensì di «sospensione»”.
Si capisce lo stato d’animo del vecchio patriota, culminato nel famoso discorso del 24 luglio 1947 alla Costituente contro la ratifica del Trattato di Pace (che il filosofo preferiva chiamare “Dettato” di pace), e che giustamente Desiderio definisce “profetico”. Carattere che condivide col discorso che pronunciò nella stessa occasione Vittorio Emanuele Orlando. Croce “vide lungo”: “E non vi dirò che coloro che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nipoti e i pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra… vi dirò quel che è più grave, che le generazioni future potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola”. Similmente disse Orlando “L’Italia non può opporre al disfacimento cui l’atto la vorrebbe condannare che il fatto della sua esistenza come grande e gloriosa Nazione; e questo fatto è insopprimibile, malgrado ogni iniquità… non mettete i vostri partiti, non mettete voi stessi di fronte a così paurosa responsabilità. Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future; si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”. Erano l’infiacchimento e il servilismo i mali – sempre presenti nella storia d’Italia -, che i due vecchi patrioti avvertivano e temevano. Correttamente l’autore sostiene che “La democrazia liberale di Croce non poteva esistere senza il fondamento della storia italiana che, nei suoi caratteri essenziali, doveva costituire il patrimonio comune della politica e della cultura che senza questo retroterra, avrebbero dato vita ad un paese diviso e a una democrazia fragile”; cosa puntualmente avvenuta.
Perciò non si può dire che Croce e Orlando non avessero visto giusto; a quel “dettato” ne sono seguiti altri, nonché “compiti a casa”, ramanzine, punizioni, recentemente anche da Stati, come la Germania, che la guerra non l’avevano vinta e non avevano titolo di vincitori. Per cui la sconfitta non è solo un fatto storico e politico, è anche un fatto spirituale se portata nell’animo e un popolo vi si adagia (s’infiacchisce), anche ad opera di “maestrini del pensiero” che più che di questo – ne sono stati, quelli del secondo dopo guerra, scarsamente  forniti- possono insegnare come far carriera.
Cioè tutto il contrario di quello che potevano (e volevano) insegnare veri maestri del pensiero (e di vita) come Croce e Orlando.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange



Teodoro Katte  Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),Funzionarismo (2013).


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Croce il il Mourinho della filosofia italiana.
di Carlo Gambescia   

Se c’è un cosa che subito colpisce della biografia  di Croce,  scritta da Giancristiano Desiderio, giornalista, studioso di  filosofia, insegnante, è l’atteggiamento difensivista, un po’ trapattoniano.  Un “Primo: non prenderle” che però gli consente di  infilare  in contropiede  e  vincere  l’ undici  anti-crociano.   Undici si fa per dire,  perché  gli avversari di Croce, ancora oggi,  sono molti di più e  duri a cedere.   Si pensi solo alla polemica, non certo edificante,  poi  sfociata in tribunale,  risalente a qualche anno fa (di  cui  tra l’altro si parla nel libro) tra Roberto  Saviano,  lo scrittore "camorrologo"   e  Marta Herling,  nipote di  Croce. Chi non ricorda o desideri  saperne di più si legga il  libro oggetto di questa recensione…     
Desiderio, autore del Divino pallone,  sicuramente apprezzerà la metafora calcistica… La nostra -   avviso per chi  non ami  Croce né il calcio -  sarà un recensione  in stile “Domenica sportiva”, “Il calcio minuto per minuto”, eccetera. Lettore avvisato mezzo salvato.   
Parliamo  di  un libro ottimamente  articolato, per dirla con Brera, in dieci  normolinei  capitoli, (anzi undici, considerando il ghiotto saggio bibliografico) -  per  l’appunto come una squadra di calcio -  che  si apre guardingo (1. La vita come opera filosofica), prendendo subito le distanze dalla corriva  «leggenda del  Croce olimpico», ossia del filosofo con la testa tra le nuvole.  Per poi prendere le misure,  tenendo palla  a centrocampo,  grazie anche a un elegante fraseggio,  nei due  successivi capitoli (2. Casamicciola; 3. Angelina): un terremoto (1883) e una grave malattia (1913) che portano via al filosofo, rispettivamente, prima mezza famiglia (genitori e sorella)  e poi la compagna (Angela Zampanaro). E Croce per due volte viene  sfiorato dall’idea del  suicidio. Altro che nuvolette…  Senza dimenticare che tra le due date  Croce, oltre a innumerevoli e importanti ricerche di storia locale,  smonta il positivismo,  minimizza il  marxismo, costruisce la sua  filosofia della spirito e diventa senatore.  Insomma, si fa un nome, pur essendo    partito da “zero tituli”.  Se, ci si perdona l’accostamento,  diventa  il Mourinho della filosofia italiana.     
Qui, Desiderio entra nella metà campo avversaria, occupandola con  tre densi capitoli,   dedicati a  momenti fondamentali. L’incontro con Giovanni Laterza (4. Giovanni Laterza): due organizzatori che si trovano, abbracciano e creano dal nulla o quasi,  un importante capitolo di storia editoria italiana;  ; il primo conflitto mondiale (5. La  guerra): Croce rifiuta il grigioverde intellettuale, pur restando  fedele alla patria ;  il fascismo (6. Gli Hyksos) : Croce respinge e ridicolizza la mistica della  camicia nera,   rompe del tutto con Gentile, profeta di un’ etica  dello stato fascistizzato.
Dopo di che Desiderio, passa all’attacco e realizza  tre  reti. Tradotto: tre  ficcanti  capitoli in cui  affronta, sempre  in chiave di sviluppo biografico,  il liberalismo crociano (7. la libertà),  quale forma mentis degna di  uomini liberi, creativi, non dogmatici,  concreti perché immersi nella realtà, senza per questo cadere nell’economicismo;  il suo europeismo (8. L’Europa), che  profeticamente scorge, andando  oltre  i mali della guerra e della boria nazionalista,  la  possibilità di riallacciare i nodi  di  un comune destino; la storia italiana ( 9. L’Italia), come faticoso cammino verso le idee  ( da coniugare)  di  patria e libertà        
Negli ultimi minuti, ormai padrone del campo, Desiderio, ritorna sul rapporto Hegel-Croce (10. Hegel),  dando il giusto spazio all’importante ruolo giocato nell’ultimo Croce, dalla categoria della vitalità, come trascinante fattore pre-dialettico: un primum movens, forse,  di cui la dialettica  non può fare a meno. Si tratta di un terreno, quello della vitale,  esplorato, partendo proprio da Croce,   in chiave di reinvenzione del liberalismo tout court,  anche da Corrado Ocone,  altro instancabile cursore del centrocampo liberale.   
Non contento,  in piena “Zona Cesarini”, Desiderio mette a segno  la quarta rete (Saggio bibliografico):  un bellissimo gol  all’incrocio dei pali, palla colpita di collo pieno  su assist di una squadra di autori, consultati,  studiati e meditati, utilissima per chiunque desideri approfondire.
Insomma, risultato finale:  Croce 4  Anticrociani  0.  Veramente una bella partita.  Ci chiediamo, e chiediamo a Desiderio:  a quando la “Supercoppa”?  Fuor di metafora: a quando  una bella storia del liberalismo italiano? 

Carlo Gambescia


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