mercoledì 27 novembre 2013



Teodoro Klitsche de la Grange recensisce  per i  lettori di Metapolitics  
l’ultima fatica di Francesco Bucci
Scalfari, “intellettuale 
universale”o “dilettante”?


Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2013, pp. 158, € 14,50 .

In questo volume che può dirsi anticipato nelle ultime pagine di quello precedente su Galimberti, l’autore fa le bucce a Scalari, facendolo precedere da una considerazione che illustra il carattere, il senso e il limite della critiche – non poche – rivoltegli:  “Eugenio Scalfari è stato un grande direttore di giornale ed è tuttora un grande giornalista. I suoi editoriali di politica, di economia, di finanza, di costume sono esemplari per lucidità di analisi e chiarezza espositiva”.
Ma quando, circa vent’anni fa, lasciò la direzione di “Repubblica”, ha iniziato un percorso “nuovo e difficile … di trasformarsi in saggista e di occuparsi … dei massimi sistemi”. Fatto sta che – scrive Bucci – ha iniziato a pubblicare un libro dopo l’altro… “Libri con i quali si inoltra, con piglio gagliardo e passo sicuro a dispetto dell’età, nei più vari campi del sapere: filosofia, letteratura, storia, psicologia, arte, scienza”; “il guaio è, però, che di errori marchiani, di spropositi e di veri e propri sproloqui abbondano anche i libri di ES, nonché gli articoli nei quali egli, atteggiandosi a 'intellettuale universale', si avventura in terreni che non gli sono congeniali”; e si può aggiungere all’elenco anche contraddizioni. Non è possibile riferire tutti i campi dello scibile - tanti – in cui l’occhiuta analisi dell’autore ha rilevato le  mende attribuite a Scalfari: la varietà dei temi affrontati dal “fondatore” renderebbe questa recensione un trattato.
Ma un paio di considerazioni specifiche occorre farle.
La prima è quella connessa al lavoro di giornalista – e di grande direttore di giornale – di Scalfari. Un giornalista è, fra le figure moderne, come sosteneva – tra gli altri – Spengler, quella più vicina all’oratore, al retore dell’antichità. E quali sono fine e metodo fondamentali della retorica? Perelman risponde; la persuasione dell’uditorio, da realizzare, (principalmente) utilizzando argomenti condivisi dagli ascoltatori. Se si va ad analizzare i passi di Scalfari riportati da Bucci si nota che si basano in gran parte su idola tribus condivisi solo (o prevalentemente) da un uditorio di sinistra e in genere fedele ad un certo “tipo” (moderno) di opinioni condivise. D’altra parte sarebbe impossibile fare dal nulla un giornale di successo che, non dimentichiamolo, è una grande impresa che vive delle “rimesse” dei lettori, se non se ne vellicassero le convinzioni.
Ma questo – che per un giornalista è una dote – è spesso un limite decisivo per un pensatore: lo riduce a correre appresso ai luoghi comuni, a dare risposte in modo (fin troppo) prevedibile e spesso errato. A scambiare cioè l’originalità (e spesso la verità) con il consenso.
La seconda è l’analisi delle idee di Scalfari sulla morale: “Il fondamento della morale è l’ «istinto di sopravvivenza della specie», che è innato in ciascun uomo”. Solo un istinto altrettanto forte e radicato dell’istinto di sopravvivenza dell’individuo può infatti reggere “di fronte a una forza invincibile dell’amore verso sé, alla radice saldissima dell’egoismo”.
A prescindere dalla commistione tra natura ed etica e al problema che pone, ovvero di conciliare la necessità con il libero arbitrio ed il dovere, quel che appare assai gracile di questa concezione è non notare che ciò che induce al sacrificio dell’egoismo individuale è l’appartenenza sociale, o meglio comunitaria. Un uomo può arrivare – e arriva – al punto di morire e sacrificare il proprio interesse per qualcosa di super-individuale, ma questo non è la specie umana o l’umanità, ma  la comunità politica (di solito, ma anche altri tipi di coesioni sociali) cui appartiene.
Solo che le comunità politiche esistono in uno stato di ostilità potenziale, che spesso si trasforma in guerra. Cosa unica tra gli esseri viventi, in cui l’aggressività intraspecifica si esercita in forme che non giungono all’uccisione, tanto meno tra gruppi organizzati. Scriveva Proudhon che la guerra è nell’essenza dell’uomo perché “l’idea di guerra involge, domina, regge con la religione, l’universalità dei rapporti sociali. Tutto nella storia dell’umanità, la suppone. Nulla si spiega senza di lei; nulla esiste senza di lei: chi sa la guerra, sa il tutto del genere umano”.
E tanti altri hanno scritto cose simili. Ma la guerra è potenzialmente (vedi quella atomica) distruttiva dell’umanità e addirittura (forse) di gran parte della vita animale. Del perché Scalfari non abbia notato che l’altruismo si ferma a livello comunitario e si “esercita” a spese di altri gruppi umani, appare chiaro: la negazione della guerra, della sua insopprimibilità, come dell’ostilità e delle conseguenze della contrapposizione  amico-nemico è tra i capisaldi della modernità utopistica, e delle aspirazioni relative. Che non è il caso di richiamare alla realtà, ma è comodo ed opportuno cullarvisi dentro.
Teodoro Klitsche de la  Grange

Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).Funzionarismo (Liberilibri, in stampa)


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