mercoledì 30 ottobre 2013


Una  fiction su Olivetti da dimenticare







Per dirla fuori dai denti: una porcheria.  Parlare  male della fiction dedicata a Olivetti  sarebbe fin troppo facile, quasi  come sparare sulla Croce Rossa…   Tuttavia  non possiamo farne a meno, e per due ragioni.  
In primo luogo,  il lavoro  diretto da Michele Soavi, pur nei limiti  di un' opera televisiva (come si dice) da prima serata,  neppure  si pone  il problema di ricostruire  la  figura, certamente complessa, di un imprenditore  talentuoso,  ma   tormentato e  ben poco solare, rispetto alla  caricatura  buonista, malamente delineata dagli sceneggiatori e "montalbaneggiata" da uno Zingaretti spaesato, per dirla con i critici.                 
In secondo luogo, quel che più  infastidisce è  un  taglio ideologico  che oscura  le  zone d’ombra,  poco amate a sinistra e dintorni. Ne enumeriamo solo alcune:  i rapporti,  sebbene discontinui, con Bottai; l'intelligente reinvenzione del fordismo,  frutto di  ammirazione per la cultura industriale americana  delle "human relations"; le critiche antiriformiste dei sindacati;  il gelo di socialisti e comunisti  verso un imprenditore culturalmente indocile;  le  riserve cattoliche e vaticane  nei riguardi  di ogni sincretismo spiritualista.
Emblematica, l’assenza di qualsiasi accenno al  federalismo olivettiano (forse, per non favorire revanchismi leghisti…). Ridicola infine la pista americana… Adriano Olivetti morì di trombosi, dopo aver vissuto, soprattutto intellettualmente,  alla velocità di mille all’ora.  E fu,  se ricordiamo bene,  il primo imprenditore italiano a fondare un partito.  Altro evento scabroso per la sinistra,  su cui  la fiction, ovviamente, non indugia.   

Insomma, ripetiamo,  una vera porcheria. E per giunta a spese degli abbonati. 

Carlo Gambescia

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