giovedì 24 ottobre 2013

Il libro  della settimana:  Jerónimo Molina, Nada en las manos, Los Papeles del Sitio 2013, pp. 160 . 


Talvolta dispiace  non conoscere nelle sue più ricche sfumature una lingua straniera.  Per ragioni di lavoro si legge di tutto nei più diversi  idiomi  in modo vorace...  Fin quando ci si imbatte  in un libro che  toglie il fiato, da cui   separarsi  è  difficile,  perché si vorrebbe rileggerlo per apprezzarne, sciogliendoli,  anche i più sottili nodi linguistici.     
Ecco la sensazione provata, una volta letto e chiuso,  Nada en las manos  (Los Papeles del Sitio),  di  Jerónimo Molina,  professore di Politica sociale presso l’Università di Murcia in Spagna, già noto agli amici del blog. Parliamo di uno studioso del “realismo politico”,  con una sua precisa fisionomia,  che merita grande attenzione. Ma anche  di un  filone di studi e pensiero, cui di recente, proprio in Italia, è stato  dedicato un convegno( http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/06/IL-REALISMO-POLITICO-Perugia-17-18-19-ottobre-2013.pdf   ).
Il piccolo, solo in apparenza, volume di  Molina rientra classicamente nell’ eccellente tradizione del diario, anche epistolare,  di viaggio intellettuale ( con un modernissimo pendant, se non sbagliamo,  di tipo "blogghista"): la stessa antica e  severa tradizione, per intendersi,  di Machiavelli,  Tocqueville,  Pareto,  Schmitt.  Nomi che possono costituire i gradini finali di una scala dorata  verso le vette della scienza politica. Un percorso, come dire, ascensionale e soprattutto "augurale", al quale  Molina, conoscendone l’umiltà,  opporrà il più  disincantato dei suoi sorrisi.
Il titolo  coglie  plasticamente  lo  sforzo  sisifico di uno scienziato politico assolutamente  consapevole di asserire, al contempo, troppo e troppo poco, soprattutto  dinanzi  all’infuocato divenire delle cose umane.  Perché   cosciente,  come si legge,  che la via del realismo politico -  e qui Molina cita il nostro Giuseppe Ferrari -  è  la via del dolore, o se si preferisce la via dell’imperfezione. Detto altrimenti: di una  scienza guardiana dei fatti,  che però si vede costretta a parlare a un mondo imperfetto, composto di esseri che non ascoltano se non quello che ritengono più  opportuno.  Di qui, sotto gli umanissimi colpi del caso e della necessità,  il poco che si fa troppo e il troppo che diviene poco, anche dall'alto di una cattedra immacolata. Ciò spiega perché il realista è poco amato e peggio giudicato. Non potrebbe essere diversamente: la verità dei fatti non è buona pagatrice, almeno nel presente.  Soprattutto  quando si  afferma, con Freund,    che il potere non  è  reazionario né rivoluzionario, ma solo  uguale a se stesso. E che di conseguenza  il rivoluzionario può trasformarsi in conservatore e il conservatore in rivoluzionario… 
Ferrari, Freund, Aron, Maritain, Schmitt, Simmel, Ortega sono solo alcuni fra i tanti pensatori puntualmente evocati da Molina,, inclusi altri, numerosi, acutissimi studiosi spagnoli, si pensi solo a Eugenio D’Ors,  vero maestro della sintassi diaristica. In qualche misura  siamo davanti a una piccola enciclopedia ragionata capace di proiettare benefici fasci di luce sull’aspro cammino del realismo politico: da Kautyla e Tucidide a  Dalmacio Negro e  Günter Maschke.           
Nada en las manos  ruota intorno al  triennio 2011-2103, anni difficili per la Spagna e per il mondo intero.  E vi sono   raccolti, senza mai perdere di vista la realtà,   incontri, spunti interpretativi,  riflessioni,  note di  lettura e traduzione, libri ritrovati, commemorazioni, aforismi e  versi. Come nei suggestivi   giochi  di piazza di un tempo,  il lettore si trova a osservare, e  con partecipazione,  un pensiero in equilibrio   tra i microeventi della vita familiare e i macroeventi della vita sociale. Cade, non cade, cade?  Non cade.  Molina,  da perfetto  equilibrista dello spirito, si tiene in piedi  sulla  fune, posta tra le torri  degli eventi privati e pubblici,  grazie ai  contrappesi che puntellano i punti d’appoggio della sua asta. E così si mette in salvo.  Parliamo, fuor di metafora, delle costanti del politico  (o "metapolitiche”, come ci piace chiamarle): quel che si ripete, con regolarità, nell’universo politico. Ecco  i contrappesi cognitivi della politica, anche la più burrascosa: senza i quali resta difficilissimo abbassarne o alzarne il baricentro.   
Pertanto Molina non passeggia elegantemente tra le rovine come l’ultimo Schmitt,  né si compiace  di osservare le efferatezze della politica come Pareto,  né celebra  troppo gli antichi  per opporli ai moderni come Machiavelli,  né infine certifica, pur di controvoglia, processi storici dotati di forza propria, come Tocqueville.
La sua scienza politica è  scienza dei limiti e dei cicli, a un tempo antica,  moderna, postmoderna.  Per quale ragione?   Perché capace di   metabolizzare, in chiave  atemporale,  l’esperienza politica alla luce del  sic transit gloria mundi di cui sono imbevute le sue costanti.  Anche sul piano personale. E qui il cerchio si chiude.
Parliamo, insomma, di uno  studioso sobrio,  che non scrive (relativamente) molto, ma legge e pensa tantissimo. Cosicché, quando prende la penna in mano,  lascia sempre  il segno.  Grazie anche  alla qualità della scrittura  che  consente a Molina  di  risalire,  in poche dense battute,  dal particolare (magari privato) all’ universale ( sempre politico). E qui, come dicevano all’inizio, il nostro dispiacere di non poter cogliere anche la più piccola sfumatura di uno stile sinuoso che avvolge e accompagna il lettore, indicando sempre  il pro e il contro:  la vitalità della lotta politica  e la caducità dell’esistenza;   la forza del pensiero interpretante e la fragilità degli esseri umani; la bellezza di uno sguardo fermo e disinteressato sul mondo e il senso del tempo che passa e che tutto cancella, inesorabilmente. Eccetto  le costanti  del politico...

Insomma,  un libro prezioso. Da tradurre subito.

Carlo Gambescia   

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