venerdì 21 giugno 2013

Tony Soprano 
o della banalità del male



Ci piaceva molto James Gandolfini nella parte  di Tony Soprano:  mafioso depresso e padre affettuoso,  spietato boss di mezza tacca, ma pieno di rimorsi, rimpianti e complessi.  Eppure incapace di fermarsi, perché sospinto dalla  pervasiva  leggerezza  della routine.
Un ruolo molto articolato, magnificamente interpretato in tutte le sue sfaccettature e persino sfumature. Evitando, anche per merito degli autori,  di incorrere, per fare solo alcuni esempi,  nel manierismo di Marlon Brando, nei ghigni di Robert De Niro e nei deliri di  Al Pacino.  D’altra parte parliamo di  tre divi obbligati a immedesimarsi in caricature di mafiosi. E non in personaggi autentici  come Tony Soprano. 
Peccato che James Gandolfini  sia morto, prima di poter offrire, come si dice, altre grandi prove attoriali. La terra gli sia lieve.  
Quanto alla serie, l’uso del termine capolavoro usato da molti critici, a prima vista può  sembrare eccessivo. Non abbiamo la preparazione necessaria per poter confermare o meno. Tuttavia, come spettatori e studiosi di sociologia  abbiamo apprezzato  "The Sopranos". Mai  perduta una puntata.  Da spettatori  non possiamo non ricordare con piacere  il ritmo e la coerenza della sceneggiatura, la bravura degli attori, nonché  le musiche sempre appropriate.  Indimenticabile, la lunga notte  trascorsa da Tony  accanto al suo cavallo da corsa malato, sulle note di  "My Rifle, My Pony and Me", celebre canzone tratta dal film  "Rio Bravo",  cantata da Dean Martin.  È la miracolosa goccia d'acqua attraverso la quale, per un attimo,  si scorge l'oceano del sogno americano versione frontiera.   Da antologia.




Dal punto di vista  sociologico abbiamo molto gradito  il  puntuale   riferimento  non alla mafia  come macro-fenomeno cospirativo, centralizzato, una specie di  megamacchina del male assoluto (come si usa fare in Italia), ma alle mafie, come micro-fenomeno, diffuso sul territorio, hobbesianamente  divise in bande sempre sull'orlo del conflitto. E per giunta composte, non dai soliti  zombi decerebrati  con la pistola in mano, ma  da  persone con gli stessi problemi esistenziali  del mondo “normale” :  individui concreti,  che però ogni giorno, dalle 8 alle 17, si trasformano in banali  maestranze del male. 
Una chiave interpretativa interessante che permette  al tempo stesso di spoetizzare la mafia e fare dell’ottima televisione,  evitando - cosa ancora  più importante -   di  costruire fangose soap cospirative.   E probabilmente, per  quest'ultimo  motivo,  la serie non ha avuto successo in Italia,  Paese, per eccellenza, dei “romanzi criminali”... (*)

Carlo Gambescia

(*) A proposito,    se vera - la storia ( di oggi: 8/8/13)  del rolex  di Pandolfini rubato  nei momenti successivi al mortale attacco di cuore - c'è veramente di che vergognarsi. Qui l'articolo: http://www.tmz.com/2013/08/07/james-gandolfini-rolex-submariner-watch-case-theft-stolen   .

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