giovedì 13 giugno 2013


Il libro della settimana: Fedele Acciari, Spengler. Un autodidatta di successo, Edizioni Universitarie 2013, pp. 264, euro 25,00 -universitarie@libero.it  .



Non si poteva trovare titolo più azzeccato. Parliamo del ghiotto libro di Fedele Acciari , saggista e storico delle idee, dedicato a un modesto professore di liceo assurto a profeta del declino dell’Occidente: Spengler. Un autodidatta di successo (Edizioni Universitarie) . Per certi versi,  il saggio di Acciari ricorda quello dissacrante di Anacleto Verrecchia su Nietzsche.
Per quale ragione autodidatta?  Perché Oswald Spengler  fu    uomo dalle molteplici e  disordinate letture: filosofia, storia, matematica, scienze naturali, alchimia,  religione, musica, arte.  Tenutosi e tenuto sempre a distanza dalla cultura accademica tedesca,  probabilmente proprio a causa della sua  bocciatura alla prima prova di dottorato (alla seconda riuscì).  Tuttavia,  grazie  alla   enorme quanto variegata  cultura, trionfò  nelle  librerie: il Tramonto dell’Occidente, uscito in sordina,  fece la fortuna dell’editore Beck.  Tra il 1918 e il 1936, anno della sua morte (a cinquantasei anni per  infarto), nella  Germania  affamata  prima di pane poi di divertimenti e infine di   profeti e profezie,  Spengler divenne  famoso al punto di   trasformarsi  in  una sorta di aristocratico e misterioso  santone: un genio  malandato di salute,  ipersensibile alle critiche ma ipercritico nei riguardi altrui; incapace di risolvere qualsiasi  questione pratica, sebbene totalmente convinto di avere il tasca, o comunque a portata di mano, il segreto della storia.
Una certezza, secondo Acciari,  presto divenuta  monomania e  causa di  autentici  deliri persecutori. Parliamo di  una capacità visionaria,  così circonfusa di mistero,  talvolta anche per colpa degli ammiratori,  che colpì perfino Hitler.  Altro autodidatta di successo... 
Fu nazista Spengler? Secondo Acciari no. Ebbe, di certo,  amici nazisti, soprattutto tra le SA, alcuni dei quali perirono nella “Notte del lunghi coltelli”, ma politicamente, scrive Acciari, « era di un'ingenuità sconcertante». Di qui, l’incapacità di fare scelte politiche concrete. Perciò - continua l’autore - «come poteva diventare nazista un uomo abituato a frequentare la stratosfera del pensiero e quindi incapace di calarsi nella realtà delle cose politiche? » (p. 18). Resta il fatto che altri pensatori, altrettanto abituati a solcare i campi dell’Essere, come Heidegger, lo furono, anche se a termine. Che la differenza tra le scelte di Heidegger e Spengler fosse nel diverso punto di arrivo  formativo? Il primo accademico, il secondo autodidatta.  Heidegger più legato a mantenere e difendere  posizioni di potere,  Spengler no...   Acciari non si  pone il problema, a dire il vero  più sociologico che filosofico:  Heidegger è citato alcune volte, ma su altre questioni spengleriane.
Nel libro sono molto ben ricostruiti i rapporti familiari  e in particolare con la sorelle:  Adele (che morì suicida) e  Hilde.  Nonché i legami con lo storico Eduard Meyer e   altre  figure di rilievo come Leo Frobenius, con il quale però Spengler  ruppe nel 1927,  per ragioni, secondo Acciari, «più di tipo caratteriale che di natura scientifica» (p. 128).
Molto interessante la parte dedicata ai rapporti tra l’autodidatta profeta del declino e il pensiero alchemico (pp. 150-183). Per «Spengler - si legge -  la ricerca della pietra filosofale da parte degli alchimisti presupponeva il rifiuto della storia in nome di un sapere più profondo capace di trasformare i metalli in oro: un compito, a suo avviso, irrealizzabile, perché la comprensione delle leggi profonde della storia, omologhe a quelle naturali, è l’unica vera pietra filosofale ». (p. 179).

Concludendo, un libro notevole, tra l’altro  ben scritto, che però dà per scontata, come del resto la nostra recensione, la conoscenza della teoria storica spengleriana.  Un testo, insomma, rivolto verso l'interno, in direzione dei  lati meno conosciuti di Oswald Spengler,  «l’ipersensibile filosofo della storia, che immaginò un Occidente diverso, probabilmente mai esistito, se non nella sua mente febbrile di alchimista autodidatta dei corsi e ricorsi umani» (p. 258).

Carlo Gambescia

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