giovedì 25 aprile 2013



Il libro della settimana: Paolo Armaroli, Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie della XVI legislatura e oltre, Mauro Pagliai Editore 2013, pp. 240. 


http://www.mauropagliai.it/php/index.php


Chissà oggi dove sarà Gianfranco Fini? L’anno scorso tagliava nastri e celebrava il 25 Aprile, oggi, stando al gossip  poco benevolo,   potrebbe essere nuovamente all’Ikea a fare piccole spese domestiche in compagnia della moglie (http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1215876/Fini--trombato-alle-urne--si-da-allo-shopping-low-cost--con-la-Tulliani-all-Ikea.html   ) .
Riposo del guerriero? Sì. Ma, probabilmente,  a tempo indeterminato. Anche se in politica, come si consiglia,  mai dire mai…  Comunque sia,  chi tuttora abbia qualche nostalgia della "battaglia" di Fini contro Berlusconi,  al tempo stesso   presidente della Camera e  leader di un neo-gruppo parlamentare, non può non leggere - soprattutto per guarirne rapidamente –  il libro dal respiro  filangeriano, del professor Paolo Armaroli:  Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia. Tutte le anomalie della XVI legislatura e oltre (Mauro Pagliai Editore). Dove, da raffinatissimo studioso di scienza costituzionale e parlamentare,  Armaroli - tra l’altro penna assai  vivace - illumina i  risvolti  istituzionali di un’operazione politica tesa a far fuori Berlusconi.  Alla quale, Fini si è prestato neppure tanto elegantemente.
Si dirà, ma il professor Armaroli parla, se ci si perdona l’espressione, da “trombato”. Nel senso che, se ricordiamo bene, Fini pose il veto alla sua ricandidatura  nel 2001. Di qui, l’assenza di serenità…  Al contrario, siamo davanti a un libro molto equilibrato, dove addirittura si avverte laica  pietà verso un Gianfranco Fini costretto - certo, non per altrui scelte - a sdoppiarsi:  «irreprensibile dottor Jekyll intra moenia, inquietante come il signor Hyde fuori dalle mura» della Camera dei Deputati (p. 11). Un eccesso di pressione nervosa su una personalità,  sicuramente “di ghiaccio",  ma non oltre ogni  umana misura.  Un equilibrio, già precario,  messo defintivamente   a dura prova dal devastante flop elettorale: 0, 46 per cento.…   Il che potrebbe spiegare in chiave post-basagliana  i terapeutici   tour  familiari all’Ikea e la malinconica scomparsa di Fini dalle cronache politiche.
Dicevamo dell’equilibrio di Armaroli.  Ecco un esempio: « Non c’è solo (…) l’anomalia costituzionale di una maggioranza e di un governo che vorrebbero disfarsi del presidente della Camera. No c’è anche la simmetrica anomalia di un inquilino di Montecitorio, che, dismessi i panni dell’arbitro, fuori del palazzo fa politica tutto campo, contesta l’indirizzo politico del Pdl e del governo con espressioni sovente sopra le righe e si ripromette, quando capiterà l’occasione di liquidare un ministero che senza i voti dei suoi fedelissimi non detiene più la stratosferica maggioranza parlamentare di una volta. Ora, non è che l’una anomalia annulla per così dire l’altra. Niente affatto la verità è che alla prima anomalia si aggiunge la seconda, con il risultato che ogni regola viene stravolta. Il guaio è che c’è chi pone l’accento sull’una anomalia e chi invece tende a mettervi un po’ la sordina. Cosa che invece un osservatore imparziale non dovrebbe mai fare» (p. 23).
Pertanto Fini, non poteva essere sfiduciato,  perché «la sfiducia non è prevista né dalla Costituzione né dai regolamenti di entrambi i rami del Parlamento» (pp. 178-179). Poteva solo dimettersi.  Dal momento che il potere del presidente della Camera (come quello del Senato) è considerato un potere neutro, un potere non potere, cosicchè  dove non c’è potere, chiosa Armaroli  sulla scia di illustri precedenti dottrinari, non c’è responsabilità e quindi “sfiduciabilità”.  Al massimo, si poteva, sciogliere la Camera dei Deputati, appellarsi alla sovranità popolare e poi rieleggere un nuovo presidente.
Del resto, come mostra il professore, che seziona  undici-sedute-undici (pp. 43-122), «sia pure con qualche caduta di stile, il giudizio sulla conduzione dei lavori parlamentari da parte di Fini è positivo. Non lo diciamo solo noi, si badi. Lo afferma implicitamente la stessa maggioranza parlamentare, poco incline a fare sconti a un presidente della Camera passato dal centrodestra all’opposizione. Difatti la maggioranza non contesta tanto le decisioni della presidenza e, quanto lo fa, di solito non porta argomenti validi a sostegno della proprie tesi. Quanto piuttosto imputa alla presidenza di non essere super partes quando fuori dalla Camera si comporta né più né meno come uno dei tanti attori politici in circolazione» (p. 122).
Ma come - ecco il punto - evitare un  altro “caso Fini”?  Combattendo la malattia partitocratica. Ma in che modo? Se abbiamo capito bene, rafforzando la stabilità dei governi, riducendo il numero dei partiti, senza per questo indebolire troppo il ruolo del Parlamento. Insomma, una specie di quadratura del cerchio… Almeno in Italia.  Bisogna però tentare. Altrimenti il peggio potrebbe essere dietro l'angolo.

«Nella Prima Repubblica - osserva preoccupato  Armaroli - istituzioni deboli sono state compensate da partiti forti. Nella Seconda Repubblica il bipolarismo ha garantito un minimo di governabilità, a dispetto di istituzioni mai riformate a dovere. Nella Terza Repubblica, quella dei giorni nostri, ci manca di tutto: partiti responsabili e istituzioni forti. Ma anche i regimi politici hanno orrore del vuoto, E allora, per dirla con De Gaulle, il potere non si prende. No,  si raccatta da parte del primo venuto. Weimar docet» (p. 224) .

Carlo Gambescia

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