mercoledì 20 marzo 2013

Nel ringraziare l’’amico Teodoro dell’eccellente analisi, ci permettiamo di ricordare, per inciso,  che all’elezione di “un anziano funzionario del regime” alla Presidenza del Senato, va sommata quella di una giovane “funzionaria”  del “regime” ( o "baraccone")  Onu alla Camera.   Ovviamente, a Montecitorio, senza il  "prezioso" concorso dei cinquestellati. I quali, probabilmente,  neppure  sapevano chi fosse la dottoressa Boldrini… 

Buona Lettura (C.G.)


Cinquestelle? Un vaso di coccio…
di Teodoro Klitsche de la Grange




Il primo atto politico-istituzionale del Movimento di Grillo è stato di aver concorso – a quanto pare per un dissenso “interno” – all’elezione alla Presidenza del Senato di un anziano funzionario del regime tanto contestato (il quale lungi dall’ “arrendersi”, così si è sistemato); contraddicendo totalmente quanto predicato in campagna elettorale (e prima). Il che fa riflettere sulla natura e sui meccanismi dei partiti (o “movimenti”) volti a gestire il potere e le istituzioni politiche.
Fino a circa vent’anni fa “andavano di moda” i modelli di partito ereditati dalla prima metà del novecento: il partito pigliatutto, il partito dei notabili, il partito-milizia e così via. Tutti, pur nelle differenze anche vistose, accomunati da alcuni connotati: il primo dei quali è che realizzavano l’integrazione tra vertice e base in tre modi fondamentali: l’integrazione personale, data dalle caratteristiche del capo e soprattutto dal carisma attribuitogli; quella materiale, conseguente alla condivisione dei valori (e interessi), e quindi alla weltanschauung del movimento; quellafunzionale realizzata dalle procedure e modalità con cui si organizza, agisce e si mantiene il movimento (elezioni, nomine, manifestazioni).
La funzione dell’integrazione è duplice: da un lato realizzare l’idem sentire tra vertice e base; dall’altro conseguire l’unità d’azione del partito e la corrispondenza dell’azione ai fini ideali. Anzi essendo la politica un’attività pratica, l’aspetto principale è quello dell’agire, del fare, del realizzare. È il primato - a servirsi dei termini classici – della prassi, così efficacemente sintetizzata da Marx nell’11° glossa a Feuerbach. E perché la prassi sia coerente alle idee occorre che il partito/movimento possa agire unitariamente; da cui consegue la “disciplina” di partito e la (relativa) “insensibilità” alle direttive (agli interessi, alle idee) degli altri partiti. Senza la quale finisce per fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro: va (rapidamente) in pezzi.
Se è vero che una dozzina di senatori grillini hanno votato il candidato del PD alla presidenza del Senato, malgrado la contraria indicazione del “vertice” il processo di de-composizione è già iniziato al primo vagito istituzionale del Movimento 5 Stelle.
Il che non stupisce (lo stupore è limitato alla rapidità sorprendente del processo); tuttavia pone all’attenzione due temi.
Il primo è quello accennato: come s’è “integrato” il movimento grillino? Il consenso al capo non appare granché né soprattutto è un collante sufficiente (vedi i risultati); il “programma” del partito-rivelatore dei “valori” e “interessi” del movimento - è un catalogo di ovvietà, equamente prelevate dai programmi degli altri partiti e alcune addirittura dalle realizzazioni dei medesimi (v. la proposta sui farmaci generici, da diversi anni legge); quanto all’integrazione “funzionale” non è chiaro come avvenga, quali organi e articolazioni abbia il movimento e con quali competenze e collegamenti, come i dirigenti vengano selezionati e/o eletti, quale sia lo status(“partitico”) dei parlamentari e così via. Ma una “buona” (cioè efficace) integrazione è essenziale all’azione ed alla consistenza del movimento; e di converso azioni infedeli ne rivelano l’insufficienza.
Il secondo è a che cosa serva politicamente un partito che, all’atto di decidere, fa scelte incoerenti (e non univoche) a quanto predicato fino a pochi giorni prima. Non è un’unità partitica, un’ “organizzazione” volta a conseguire degli scopi propri ecomuni agli aderenti, ma un contenitore dove altri partiti – più consistenti e strutturati – “pescano” i voti necessari a insediare i loro uomini e a realizzare i (loro) programmi, valori, interessi. Onde votare per un partito del genere non è valutabile secondo i criteri della bontà delle proposte e delle intenzioni esternate e se queste siano valide o meno: diventa semplicemente inutile (anche perché imprevedibile). Tanto vale, ed è più onesto (e trasparente) dare il suffragio direttamente agli altri. Per quanto ci si debba turare il naso (e non solo quello).

Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009). 

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