venerdì 11 gennaio 2013

Due parole 
sulla personalizzazione della politica


La politica, particolarmente  in  Occidente, si è sempre mossa tra due  concezioni:  governo di un  uomo e governo della legge.  Il cesarismo e le grandi raccolte legislative (ad esempio, dai giuristi romani a quelli napoleonici), indicano - certo, semplificando al massimo - che la “personalizzazione” della politica come il culto della “sovranità della legge” vengono da lontano. Va però  sottolineato che talvolta celebrazione di un uomo e della legge   hanno marciato insieme: il Codice Napoleonico, moderno monumento giuridico alla sovranità impersonale della legge, porta tuttora il nome di colui che lo impose con le armi  all’Europa intera (ma volendo si potrebbe risalire a Giustiniano e  altre figure ancora più  antiche di Re-Legislatori,  nei quali sono cumulate le due funzioni).
Probabilmente, chiedendo scusa per una volta alla sociologia,  i due fenomeni hanno origini antropologiche. Perché, come alcuni studiosi  ritengono, nascono  da un duplice  bisogno dell’uomo:   per un verso dalla necessità profonda di  “feticci”,  anche umani,  cui inchinarsi,  per l’altro  da una vera e propria "fame"  di rappresentazioni astratte, fondate su un principio superiore, cui ovviamente piegarsi.  
È possibile trovare una via d’uscita? E in un’epoca, tra l’altro, dove la tecnologia favorisce, come mai nel passato, sia la personalizzazione mediatica, sia il controllo elettronico degli adempimenti imposti dalle  troppo numerose e soffocanti  leggi?  No. Ovviamente, le reciproche accuse di personalizzazione e sovranismo (o costruttivismo) giuridico, che le varie fazioni  tuttora  si lanciano, riguardano più lapolitica della logica che la logica della politica. Detto altrimenti: pur di vincere, ogni fazione preferisce  dire il contrario di quel che asserisce l’avversario, oppure di sposarne artatamente le posizioni per spingerlo a cambiare le sue, e cosi via...

Anche qui, nulla di nuovo.

Carlo Gambescia

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