martedì 4 dicembre 2012

Si consiglia agli amici che ci seguono un’attenta lettura dell’eccellente post dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange. E per una semplice ragione:  de la Grange   affronta,  con eleganza di pensiero e profonda conoscenza dei meccanismi reali del "politico",   una questione  che  va  oltre  l'ILVA.  Quale? « Se un provvedimento, pur giuridicamente corretto, si rivela foriero di danni enormi, occorre rispettarlo ed eseguirlo, perché preso da giudici competenti in base a norme vigenti, oppure derogare, sospendere, modificare la legge e/o gli effetti del provvedimento medesimo?». Detto altrimenti: governo delle leggi o governo degli uomini? Ratio o Voluntas, per dirla in linguaggio giuridico?  Buona lettura (C.G.)



                                    
ILVA 
Governo delle leggi o governo degli uomini?
di Teodoro Klitsche de la Grange



La totalità dei commenti comparsi sulla vicenda ILVA che mi è capitato di leggere si può ricondurre al repertorio degli idola mediatici e delle ovvietà del teatrino della politica. La scena è contesa tra i personaggi della magistratura salva-salute e del governo salva-impresa. Al fine di chiarirlo il Governo (o la stampa – fa quasi lo stesso) ma subito battezzato il suo decreto salva-ILVA. A conferma che questo governo che di cristiano non ha granché ne ha tuttavia la vocazione “soteriologica”: dalla nascita, non fa che salvare qualcosa (o qualcuno).
Contrariamente a molti commentatori non parteggio né per la decisione della magistratura tarantina né per l’ILVA, né per il Governo. Lo stupore di fronte alla chiusura con la carta bollata di un grande stabilimento, non può far dimenticare il dato di comune esperienza che, proprio perché così grande e stante il tipo di lavorazioni, l’aria lì intorno non dev’essere granché salubre, e probabilmente ha provocato e contribuito a provocare danni notevoli alla salute dei tarantini. Il provvedimento del magistrato non mi pare appartenga cioè alla categoria di altri provvedimenti giudiziari finiti sulla stampa che sono apparsi prima che bizzarri, inverosimili.
Pertanto il fatto che, per tutelare il bene-salute, gli uffici giudiziari tarantini abbiano preso un provvedimento clamoroso e lesivo di altri interessi tutelati (anche perché non hanno – né possono avere – a disposizione la gamma di soluzioni che può mettere in campo il potere governativo-amministrativo), non può suscitare scandalo: il giudice opera in base alla massima fiat justitia pereat mundus.
Ma è qua che la vicenda dell’ILVA coinvolge una questione d’importanza fondamentale che è rimossa (o accantonata o sottovalutata) da gran parte degli “addetti ai lavori”.
Se un provvedimento, pur giuridicamente corretto, si rivela foriero di danni enormi, occorre rispettarlo ed eseguirlo, perché preso da giudici competenti in base a norme vigenti, oppure derogare, sospendere, modificare la legge e/o gli effetti del provvedimento medesimo? E’ il quesito che si ripete (almeno) da quando lo Stato moderno cominciò a muovere i primi passi.
Tant’è che se lo pone Machiavelli nei Discorsi (riguardo alla dittatura romana); Bodin, e tanti altri fino a Jhering, Schmitt e Santi Romano. La risposta è univoca: il potere politico (il “governo”), che ha come funzione la protezione della comunità e come principio salus rei publicae suprema lex, deve, se necessario “rompere gli ordini” (come scriveva il Segretario fiorentino) e derogare alla normativa vigente, onde evitare di compromettere l’essere – e il benessere – della comunità. E se – come nella specie – più interessi, pubblici e meritevoli di tutela sono in conflitto, è compito di questo ri-comporli, di guisa che non pereat mundus per fare justitia (che nella specie non è quella di S. Agostino, ma la legalità dello Stato moderno).
E’ conseguenza della reiterata opera di manipolazione del sentire comune che la questione non sia avvertita in questi termini, semplici quanto chiari, espressi dai pensatori prima ricordati.
Si discute di conflitto di attribuzioni e violazione della Costituzione, identificando la costituzione con quella formale, deliberata nel ’47 e tralasciando altri concetti di costituzione, e, soprattutto, le concezioni che vedono nella necessità una fonte di diritto (Santi Romano), la ragione ultima per provvedere nello stato d’eccezione (Jhering e Schmitt), come nella legalità e nella legge uno strumento relativo (de Maistre), perché non idoneo a padroneggiare e risolvere ogni situazione concreta.
Se si pone nei termini “correnti” la questione, la tesi, tra gli altri, del “governatore” della Puglia, che il Governo abbia commesso uno strappo alla Costituzione (formale), ha diverse chances di essere plausibile: ma se si parte dall’altra, ossia dalla concezione “classica”, o se si vuole realista, non si può che aderire per l’appartenenza di tali decisioni del governo. Anche perché in uno Stato che abbia come compito anche il benessere, e così il governo dell’economia, l’esigenza di salvaguardare una grande industria rientra negli scopi da perseguire e nelle situazioni d’emergenza.
E per questo il decidere spetta al Governo, tra l’altro perché competente alla decretazione d’urgenza, pensata – e disciplinata – soprattutto in vista delle circostanze eccezionali, non risolvibili con i mezzi ordinari, come questa..
E, anche per questa “lezione pratica” di diritto costituzionale, lo dobbiamo ringraziare.

Teodoro Klitsche de la Grange


 Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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