domenica 3 giugno 2012

Machiavelli 
e i corazzieri a piedi


Sfilata “sobria” del 2 Giugno… La prendiamo da lontano.  In una delle più intriganti analisi  sociologiche del concetto di Tradizione (Tradition, The University Chicago  Press) , Edward Shils  fa una  distinzione fondamentale. Semplificando al massimo:  tra ciò che è ripetizione, per così dire,  statica,  di un’ azione (senza sapere più perché si debba fare, si  fa e basta), e ripetizione dinamica frutto di un consenso tacito sui valori (si sa  quel che si fa, perché è giusto farlo). Di conseguenza, una sfilata militare in senso stretto non è una tradizione, lo è solo se ha dietro di sé  il consenso tacito sul valori che incarna.
Perciò,  il solo discutere  sulla necessità di  far svolgere  o meno la parata militare del 2 Giugno, sta a  indicare, che   Italia, non c’è  ancora alcun  consenso tacito sui valori fondanti  la Repubblica  e sull’unità stessa  della Nazione (sì, con la maiuscola).  Infine, una volta  presa, e faticosamente,  la  decisione  di tenerla  ma    all’insegna di un’ipocrita «sobrietà»,   lo spettacolo deprimente dei Corazzieri a piedi  conferma  la crisi in cui versa l’identità italiana: la patria  sembra  essere non  morta  ma  stramorta.
Si dirà che  è  tutta colpa della corrotta classe politica, anzi della «la casta». Probabilmente è così.  Molti  però  oggi dimenticano che i  nostri nonni e padri  negli anni Cinquanta  del Novecento giravano per le campagne  ancora scalzi. Qualche progresso, e nella più assoluta  libertà,  è pur stato fatto.  Quindi, per  metterla terra terra, non tutti hanno rubato.  O no?  E come mai gli italiani se ne sono accorti solo  dopo  il furbo  instant book di Stella  e Rizzo
Ecco gli italiani… C’è infatti  un’altra questione, di fondo,  legata  alla radicale mancanza in Italia  di un  sano principio d’autorità, o se si preferisce di quell’autorevolezza. Di cui, sia chiaro, il fascismo aveva abusato.   Parliamo di un’ autorevolezza   frutto di consenso ma anche di sano timore; autorevolezza  che dovrebbe  circondare chi comanda.   E che invece la classe politica repubblicana, sempre pronta a contrattare su tutto, ha bellamente liquidato, lasciando che gli italiani se la cavassero da soli, all’insegna della famigerata arte di arrangiarsi.  In realtà, anche  le democrazie  hanno bisogno di autorevolezza, ovviamente senza scadere nell’autoritarismo puro e semplice. Dal momento che  confidare  nel puro consenso non basta, come del resto puntare sulla pura forza.  Di qui,  la necessità sociologica  di simboli forti, anche militari,  come le parate. C’è un bellissimo libro di Angelo Panebianco, Guerrieri democratici (il Mulino), dove si spiega per filo e per segno, come anche le democrazie, non possano rinunciare, se ci si passa l’espressione, non tanto alla chiacchiere quanto ai distintivi.  Del resto parliamo di un Repubblica, quella Italiana,  nata dalla “Resistenza” (armata). Anche il Risorgimento, se ci si passa la caduta di stile, non fu una passeggiata di salute.
Del resto,  mai dimenticare che la classe politica  è sempre specchio della società nel suo  insieme.  E come scriveva  Machiavelli,   «degli uomini si può dire  questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offerenti el sangue, la roba  la vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto: ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina, perché le amicizie che si acquistano col prezzo, e non con grandezza e nobiltà d’animo, si meritano, ma non  le si hanno, e a’ tempi non si possono spendere. E gli uomini hanno meno respetto a offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere, perché l’amore è tenuto da uno vinculo di obbligo, il quale per essere gli uomini  tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non ti abbandona mai”» ( Il Principe, in “Tutte le Opere”, Sansoni 1971, p. 282).
Se Machiavelli,  tornasse tra noi,  dopo aver sfogliato i giornali, parlerebbe, più aulicamente,   di prossima «ruina» della Repubblica italiana. E per quale ragione? Perché nessuno teme il  principe. E il principe non fa nulla per farsi temere.     
Concludendo:   tutti corrotti, tutti a casa?   E sia pure.   Dopo di che però,  chiunque agguanterà  il potere,  sempre dal ristabilimento di  un principio di autorità  dovrà ripartire, e con tutti gli annessi e connessi.   E soprattutto vedersela con gli italiani,  abituati a correre da soli.  E con il «vinculo» dell’    amore, come scrive Machiavelli,   non si governa. Almeno  in questo mondo. 

Carlo Gambescia


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