mercoledì 6 giugno 2012

Divi in politica?



Che cosa pensare della caccia in atto   a presentatori, scrittori-presentatori, attori, eccetera,  da candidare alle prossime politiche?  Insomma, del “divo” da dare in pasto agli elettori…
Diciamo che il Pci, tradizionalmente attento ai rapporti con la cultura nel senso più ampio, anche quella popolare (quindi cinematografica), usava candidare, non solo scrittori, ma anche attori, soprattutto negli Settanta del Novecento: si pensi a Volonté e alla Gravina,  interpreti  di spessore  molto impegnati politicamente, non sempre però premiati dagli elettori. La Dc invece tentò invano di convincere Alberto Sordi, che pure in qualche modo con i suoi film  fiancheggiava la Balena Bianca. Tendenza poi diventata sistematica con Berlusconi, il magnate mediatico per eccellenza. È di oggi la notizia della possibile candidatura di Gerry Scotti a capo di una lista civica filo-Pdl, smentita però dall’interessato. Mentre è  di qualche giorno fa la smentita, sul fronte opposto, della coppia, televisivamente vicente, Fazio-Saviano
Non desideriamo però farla troppo lunga. È sbagliato candidare presentatori, attori,  eccetera? Nella società dello spettacolo, o se si preferisce della politica-spettacolo,  fondata sull'interazione  tra  media e  istituzioni politiche democratiche,  piaccia o meno, è  una necessità: il "divo" porta voti.  
Il problema è un altro e concerne la qualità e maturità dei partiti: se la candidatura del “divo” serve solo a colmare l’assenza di idee e programmi, siamo davanti alla classica scelta di ripiego. Se invece, parliamo di un possibile e autentico  “plusvalore” professionale da “donare” a partiti comunque all’altezza dei compiti, allora non può che  trattarsi di una scelta intelligente. A patto però di non riempire i parlamenti di divi e divetti…

In realtà, la caccia al nome famoso è una specie di barometro politico: quanto più i partiti sono in crisi e  privi di credibilità, tanto più cercano di recuperare, senza "affaticarsi" troppo,  puntando strumentalmente su apporti esterni. E qui il discorso andrebbe allargato alla questione della cosiddetta “chiamata dei tecnici” al governo. Ma questa è un’ altra storia.  

Carlo Gambescia 

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