venerdì 23 marzo 2012



Statuto dei lavoratori
Metapolitica dell’articolo 18





Oggi cercheremo di dare un’interpretazione metapolitica della cosiddetta riforma dell’articolo 18. Per quale ragione metapolitica? Perché non entreremo nel merito delle singole misure. Tratteremo la questione nei suoi termini generali, metapolitici, offrendo al lettori solo alcune chiavi di lettura: liberismo, socialismo, riformismo vero e falso.
Semplificando al massimo: per un liberista (delle varie tendenze), le proposte del Governo Monti sono fin troppo blande, dal momento che dal punto di vista - per usare un termine ottocentesco - manchesteriano, il lavoro non può essere regolato da nessuna legge: tutti hanno il diritto di licenziare tutti, poiché il lavoro è una merce come un’altra; per un socialista (in senso lato, includendo i vari tronconi della sinistra e certo cattolicesimo sociale, sospeso tra Cristo e Marx), l’articolo 18, così com’è, potrebbe essere cambiato, solo nel senso di pervenire a una sua migliore formulazione, capace di garantire l' impossibilità di licenziare: nessuno deve licenziare nessuno, dal momento che il lavoro non è una merce.
Tra queste due posizioni pure o estreme, possiamo distinguerne altre di intensità e qualità differenti, tutte “ufficialmente” segnate ( si vedano i giornali di oggi) dalla comune volontà riformista. Ovviamente, come abbiamo notato, in un post precedente ( http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2012/03/riforme-non-basta-la-parola-riforme-si.html ) esistono due tipi di riformismo, semplificando, autentico e falso. Di qui, come sta avvenendo nel dibattito italiano, il sovrapporsi di due diversi modi, non proprio sinceri, di intendere le riforme del lavoro: come cavallo di Troia liberista per ulteriori e più radicali riforme o come ridotta sindacale per poi contrattaccare. Insomma, invece di ragionare in termini di riformismo vero, cercando di perseguire il giusto mix tra flessibilità e sicurezza, si discute di aria fritta, come se le risorse economiche, già ridotte, fossero infinite, e il tempo per intervenire illimitato.
Chi vincerà? Probabilmente un finto riformismo (del tirare a campare?), che pur di tenersi lontano dagli estremi, come del resto è giusto che sia, finirà però per venire a patti con i finti riformisti dell’una e dell’altra sponda, puntando su provvedimenti pasticciati che alla fin fine scontenteranno tutti: imprenditori, lavoratori e mercati. E sul vendicativo scontento dei mercati non c’è di che essere allegri…

Carlo Gambescia

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