giovedì 1 marzo 2012

Il libro della settimana. Roger Scruton, Il bisogno di nazione,  Le Lettere,  Firenze 2012, pref. di  Francesco Perfetti,  pp. 98, euro  10,00.  

Ogni volta che leggiamo un  volume di Roger Scruton, filosofo conservatore inglese,  ci interroghiamo, e con rammarico,  sul perché  nell’ Italia di oggi  manchi a destra un pensatore altrettanto brillante ed erudito. Probabilmente, perché in Italia c’è poco da conservare…  Quanto alla destra,  meglio soprassedere…   
Del resto,  per ritrovare un  grande conservatore, senza dover  andare a ritroso  fino agli elitisti  italiani (in primis la triade, Pareto, Mosca Michels),  si deve risalire al liberale  Benedetto Croce, grande erudito, ma non sempre brillante,  scomparso nell’anno di grazia 1952.  Per contro, il poliedrico, e più giovane (si fa per dire), Giuseppe Prezzolini, autore tra l’altro del celebre Manifesto dei Conservatori,  pubblicato nel 1972,   va catalogato  come brillante ma non erudito.  E dopo  Prezzolini, in campo conservatore, “scese” il silenzio… O ancora peggio, qualche decennio dopo,  “discese” Silvio  Berlusconi…
Ma lasciamo perdere le tristezze della politica, e torniamo a Scruton e  alla sua ricchezza di pensiero.   Ad esempio,  Il bisogno di nazione  (Le Lettere)  è un aureo  libretto, fresco di stampa,   che andrebbe  letto immediatamente  solo per  il valore del capitolo 7:  “Oicofobia”.  Che cosa significa, si chiederà il lettore? Indica il ripudio del “bisogno di nazione”  di cui parla il titolo. Ma lasciamo la parola a Scruton: « Questo ripudio  è il risultato di una particolare costruzione mentale che è emersa in tutto il mondo occidentale a partire dalla Seconda Guerra Mondiale e che prevale, in particolare, fra le élite intellettuali e politiche. Non c’è parola che descriva adeguatamente questo atteggiamento, benché i sintomi siano facili da riconoscere: la  disposizione durante qualunque conflitto, a schierarsi con “loro” contro di “noi” e il bisogno di denigrare i costumi, la cultura e le istituzioni che sono identificabili come “nostre”. Poiché si tratta dell’opposto della xenofobia, propongo di chiamare questo stato  mentale “oicofobia”, termine con quale intendo (forzando un po’ il greco) il ripudio dell’eredità e della casa. L’oicofobia è uno stadio attraverso il quale passa, normalmente la  mente degli adolescenti. Ma è uno stadio nel quale alcune persone - specialmente gli intellettuali - tendono a rimanere arenati (…) . Un “oico” ripudia le fedeltà nazionali e definisce i propri obiettivi e i propri ideali contro   la  nazione, a scapito dei governi nazionali accettando e supportando le leggi che ci vengono imposte a cominciare dall’Unione Europea o le Nazioni Unite, senza preoccuparsi di considerare la domanda di Terenzio (sic)  [ Quis custodiet ipsos custodes? Giovenale, ndr], e definendo la sua visione politica in termini di valori universali purificati di  ogni riferimento al particolare attaccamento di una reale comunità storica. Ai propri occhi l’ “oico” è un difensore dell’universalismo illuminato, contro lo sciovinismo locale» (pp. 74-75-77).
Chiaro no? Ad esempio, e per venire all’Italia, Umberto Eco è “oico”, come, passando alla politica, lo è il  Presidente Napolitano. E così via…   Scruton, attraverso questo concetto, al tempo stesso erudito e brillante,  ci permette perciò  di capire quel che sta accadendo in casa nostra.   Ciò significa, per fare un altro esempio, che la Lega Nord  è due volte  xenofoba. Perché  oltre  a non sentirsi parte di quel “noi” ( e uno), avversa ( e due)  italiani del Sud e immigrati  di ogni parte del mondo.
Ma cos’è  la nazione per Scruton?  «Per nazione intendo un popolo insediato in un dato territorio che condivide istituzioni, costumi e uno stesso senso della storia, e include coloro che considerano se stessi come ugualmente impegnati a rispettare il proprio luogo di residenza e il sistema politico e legale che lo governa. I membri di una tribù si considerano fra loro come parti della stessa famiglia; i membri delle comunità basate sul credo religioso si considerano dei fedeli; i membri delle nazioni si considerano come vicini di casa. Pertanto, è vitale al senso di nazione l’idea di un territorio comune nel quale ci siamo tutti insediati e che tutti abbiamo identificato come la nostra casa» (33-34).
Il che significa che è sempre necessario distinguere tra fedeltà nazionale e nazionalismo, come portato di tribalismi, antiche e moderni, religiosi o meno. « La fedeltà nazionale, prosegue il filosofo inglese -  implica un amore per la propria terra natale e l’essere pronti a difenderla. Il nazionalismo è l’ideologia della belligeranza, che sfrutta  i simboli nazionali per arruolare le persone alla guerra». E qui Scruton,  cita l’Abate Sièyes, come il padre di tutti nazionalismi moderni: « Quando l’Abate (…) dichiarò gli intenti della Rivoluzione francese, lo fece con il linguaggio del nazionalismo. “La  nazione esiste prima di ogni cosa, essa è l’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alle legge (…). Comunque la nazione voglia  è sufficiente  che essa voglia; tutte le forme sono buone e il suo volere è sempre legge suprema”. Queste parole - sottolinea Scruton -  esprimono proprio l’opposto del vero spirito di fedeltà nazionale (…). In breve, questo tipo di  nazionalismo non è fedeltà nazionale, ma una fedeltà religiosa mascherata con abiti di fedeltà territoriale (pp. 43-44).
Di qui la diffidenza del pensatore inglese per tutte le  forme di illuminismo totalitario che vanno dal nazionalismo esasperato, inaugurato da Sièyes, a un  trans-nazionalismo altrettanto radicale,  veicolato da istituzioni come le Nazioni Unite, l’Unione Europea,  il WTO.  Ma lasciamo di nuovo la parola al filosofo inglese: «Gli esempi che ho preso in considerazione illustrano la profonda incompatibilità fra legislazione transnazionale  e la sovranità  nazionale. E mostrano anche quanto sia pericoloso che delle assemblee che non sono elette dai popoli pretendano di dettare leggi ai parlamenti nazionali. Un parlamento nazionale è responsabile verso le persone che l’anno votato e deve servire i loro interessi.  Deve sforzarsi  di conciliare le diverse rivendicazioni che  gli si pongono innanzi, bilanciare una rivendicazione con un’altra e raggiungere  una soluzione che permetta alle persone di vivere in armonia come vicini. Un’assemblea transnazionale non ha bisogno né può obbedire a nessuna costrizione» . Di qui l’inderogabile nesso, ben sottolineato da Scruton,  tra nazione e democrazia, Dove si appanna l’una rischia di sparire anche l’altra.
Profetico.  Il Bisogno di nazione, uscito in edizione originale nel 2004, sembra scritto oggi, soprattutto alla luce dei cosiddetti “commissariamenti”   di alcune nazioni europee, Italia compresa. Da molti osservatori, definiti, come vere e proprie sospensioni della democrazia. 
Nessuna speranza?  Scruton, da buon  «conservatore pragmatico», per dirla con  lo storico Francesco Perfetti, autore della notevole  Prefazione,  scorge  una via d’uscita nel  processo stesso, seppure minaccioso, diciamo così,  di transnazionalizzazione Quale? «Poiché le istituzioni che ci fanno pressioni perché accettiamo le loro prescrizioni legislative - le Nazioni Unite, il WTO, l’Unione Europea -  sono sprovviste di braccio militare efficace, il prezzo da pagare per contestarle, sarebbe rapidamente superato dal beneficio. Invece, il prezzo da pagare per seguire le loro prescrizioni provocherà la completa sparizione della fedeltà nazionale. Queste istituzioni, a loro volta, vivono in modo parassitario rispetto alla fedeltà nazionale e non potrebbero sopravvivere senza di essa. Pertanto, sia che seguiamo le loro prescrizioni, sia che le contestiamo, le istituzioni transnazionali sono destinate a scomparire». Perciò, secondo Scruton, «la via più saggia da seguire è quella di assicurarsi che le nostre giurisdizioni territoriali sopravvivano alla crisi: in altre parole dobbiamo aggrapparci a ogni costo al senso  di nazione» (p. 93). 

Analisi e ricetta, queste ultime in particolare sicuramente condivisibili. Ma come la mettiamo con gli “oici” italiani?  Che sono tanti e contano?  L’Italia, purtroppo,  non è il Regno Unito. Anzi, diciamo pure che è una Repubblica disunita, soprattutto oggi.   Comunque sia,  grazie, basta il pensiero professor Scruton.  

Carlo  Gambescia

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