mercoledì 15 febbraio 2012

Guerra alla casta o alla democrazia rappresentativa?
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La demagogica guerra alla “casta”, ( come ora è di moda chiamare la classe politica) ha origini lontane e purtroppo filosoficamente nobili. Affonda infatti le radici nella critica illuminista alla democrazia rappresentativa. Non proviene, insomma, dal solo pensiero controrivoluzionario, come comunemente si pensa. Due citazioni, per chiarire il concetto: la prima da Rousseau, la seconda da Kant.
“ La sovranità non può essere rappresentata (…). I deputati del popolo non sono né possono essere suoi rappresentanti (…). L’idea della rappresentanza (…) deriva dal governo feudale, da quell’iniquo e assurdo sistema di governo, nel quale la specie umana è degradata e il nome di uomo disonorato” (Contratto sociale, Libri III, cap. XV).
“ Il popolo che è rappresentato dai suoi deputati (nel Parlamento) ha, in questi mallevadori della sua libertà e del suo diritto, degli uomini che s’interessano vivamente della propria posizione e di quella dei membri della loro famiglia nell’esercito, nella flotta, nelle funzioni civili e che invece di opporre resistenza alle usurpazioni del governo (…) sono sempre pronti, al contrario, a tirare il governo nelle loro mani” (Metafisica dei costumi, parte I).
Risulta evidente che il bersaglio è la democrazia rappresentativa, cui vengono opposti la democrazia diretta (Rousseau) e il governo illuminato, o meglio degli illuminati (Kant). Due utopie… di cui Kant e Rousseau, nonostante tutto, erano onestamente consapevoli, a differenza dei tanti demagoghi di oggi...
Perciò la democrazia rappresentativa, piaccia o meno, resta l’unica soluzione valida, soprattutto per i grandi e complessi sistemi politici attuali. Grazie alla democrazia liberale il cittadino, votando il rappresentante, decide il nome di chi dovrà decidere, non avendo sufficienti cognizioni e competenze per decidere direttamente: l'informazione, nell'individuo, anche la più accurata, non è sinonimo di padronanza conoscitiva. Di riflesso, l’appello referendario alle folle in tumulto, puntando sul sì o no puramente "informato", conduce a cattive decisioni e all’ oppressione delle minoranze: chi "perde" il referendum, perde tutto. Altrimenti detto: la minoranza perdente viene cancellata dal punto di vista rappresentativo, perché "caduta" sotto i colpi del "potere assoluto" attribuito alla maggioranza vincente; potere così assoluto da ricordare quello "divino" invocato dal monarca assoluto, altrettanto crudele verso i dissenzienti. Certo, sono voti non pallottole, ma il principio devastante è lo stesso: si tratti dell' elevazione a ente astratto di una "Maggioranza-Popolo" o della trasformazione in simbolo politico di un "Dio-Patriarca" ad usum delphini. 
Per contro, il problema della selezione delle élite politiche ( e il conseguente pericolo della degenerazioni in caste) riguarda la struttura sociale ( si pensi solo alla persistenza del familismo-clientelismo italiano), che evolve sempre più lentamente di quella politica. Spesso servono secoli. Insomma, ci vuole pazienza.

Carlo Gambescia

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