venerdì 16 dicembre 2011

Il ghiotto post dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange smitizza, con una causticità degna del grande Pareto, l'operato dei "tecnici" imposti da Napolitano: quei professori e banchieri che da circa un mese governano l'Italia con apparente fare notarile. Apparente...Buona lettura.(C.G.)
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.Come far scendere i governi tecnici dal piedistallo
 di Teodoro Klitsche de la Grange



Dopo le prime “misure” del Governo Monti è possibile trarre qualche lezione – sottoposta ovviamente a future smentite dei fatti – sul gabinetto “tecnico”.
La prima: che ai tecnici – non si sa se sia un bene o un male, o piuttosto un misto tra i due – manca la fantasia. Anzi sono per questo il perfetto anti-68: non solo perché insegnanti e non studenti, ma perché d’immaginazione, di novità, nelle proposte del governo non se ne vede punto. Anzi ricordano gli analoghi provvedimenti dei governi “balneari” di “decantazione” di “tregua”, “istituzionali” e quant’altro partorito dal lessico politico della prima repubblica; tutti connotati non tanto dalla presenza di “tecnici” (all’epoca occasionale e comunque non sbandierata) ma dalla necessità di una tregua tra partiti (che in regime partitocratico è, se non la sospensione, la parentesi della partitocrazia), e di un defilarsi degli stessi. Dal palcoscenico della politica questi si trasferivano nel golfo mistico, dove chi suona la musica è visibile (tranne il direttore) solo a metà.
Ed è certo che per aumentare l’imposizione sugli immobili, l’IRPEF sui redditi più elevati, la tassa sulle auto di lusso (un tempo denominata super-bollo) e le barche da diporto e (che sorpresa!) le accise sulla benzina, non erano necessari dei gran professori: bastava un qualsiasi politico della prima repubblica come i compianti Rumor o Leone o (anche) della seconda come (il non a caso prof.) Prodi. Qua d’ “immaginazione” non c’è niente: è tutto un déja-vu, un copia/incolla che ricorda vagamente le pubblicazioni per i concorsi a cattedra. Dato il conformismo diffuso nell’università italiana (e non solo) il tutto non sorprende. Sorprende invece che qualcuno potesse aspettarsi qualcosa di diverso. Ciò conferma che i professori non sono andati al governo per il motivo (in positivo) di detenere la ricetta per superare la crisi, ma per quello negativo, che nessuna forza politica aveva il coraggio di far digerire all’elettorato tali dolorose ovvietà, e pagarne poi il prezzo elettorale. Che gli insegnanti al governo non devono saldare perché non sono eletti.
Tuttavia dovremo ringraziare il prof. Monti e colleghi se riuscirà, come propone, a far alzare il limite dell’età pensionabile: che come riforma non è né di destra né di sinistra, perché, come tutti sanno, dipende dallo straordinario aumento della vita media nel XX secolo.
Onde non si può chiedere a nessuno, e neanche allo Stato-provvidenza (??) di mantenere per trenta-quarant’anni dei cinquantenni in buona salute che di anni ne hanno lavorati si e no trenta; tanto meno di sacrificare necessità più urgenti e sentite agli idola di una sinistra che considera le pensioni il surrogato della società senza classi, invano attesa – dove il comunismo si era realizzato - da un paio di generazioni. Prima e dopo l’implosione del quale la sinistra decideva d’impadronirsi di una conquista – che comunque rimane tale - dovuta assai più a Bismarck, a Bernstein, alla socialdemocrazia e alla destra “sociale” che a Marx e a Lenin. Ma in mancanza d’idee (quelle antiche sono improponibili per rigetto della storia) si attacca a quello che può: come donna Prassede di idee ne ha poche, ma a quelle è affezionata al pari del personaggio manzoniano. Il fatto di far inghiottire all’elettorato di sinistra la (necessaria) riforma, indorando la pillola con la scusa di togliere il potere all’arcinemico Berlusconi (con che una sconfitta sociale diviene un successo politico) è un piccolo capolavoro (anche se anch’esso non nuovo) di illusionismo politico-mediatico e per realizzare una riforma necessaria.
La seconda: coerentemente al carattere “tecnico”: il governo non ha indicato valutazioni politiche di quello che sia successo e su chi dobbiamo ringraziare e perché in Italia (e altrove) l’’impatto della “crisi” sia stato superiore che altrove. Tutte tali domande non hanno risposte “tecniche” né prevalentemente tali: sono interrogativi politici. Se si sia trattato (come probabile) di una manovra anti-euro, chi l’abbia progettata ed eseguita, e se l’obiettivo fosse (anche) il governo Berlusconi, e se accanto vi sia il disegno di porre l’Italia sotto tutela (più di quanto già non lo sia dal 1945), se vi siano forze interne corrive a tale progetto (e sopratutto quali : quelle non-visibili sono più pericolose delle visibili); se sia sufficiente alzare imposte e allungare l’età lavorativa per superare la crisi e così via interrogando.
Di tutte tali questioni ne voglio ricordare due.
La prima, che vado ripetendo da tempo, è che l’ostilità politica (il nemico) in una società globale terrorizzata dalla guerra, assume forme (e compie atti) che non sono riconducibili alla guerra “classica”, ma ne ottengono effetti più o meno uguali. I due famosi colonnelli cinesi che previdero l’attacco alle due Torri qualificarono come nuova “forma di guerra” la speculazione organizzata da Soros a danno dell’Asia orientale. Probabilmente anche noi italiani abbiamo un Soros da ringraziare; cioè un nemico che ha letto con profitto Sun-tzu e sa bene che il nemico è tanto più pericoloso quanto più riesce a non farsi riconoscere come tale, coniugando così alle capacità offensive l’invulnerabilità difensiva (magari con l’aiuto della “legalità”). Qua siamo al massimo dell’occultamento del nemico; non solo non si capisce dove sta e quando colpirà, ma neppure se esiste. Ma non aspettiamoci che ce lo indichi un governo alle prese con conti e partita doppia.
La seconda: se è vero quanto sosteneva Mortati dell’importanza della funzione d’”indirizzo politico”, nell’organizzazione e funzionamento dello Stato, non si capisce quanto la possa esercitare un governo qualificato come opposto alla politica. Se fossi un utopista alla Saint-Simon o un seguace di Guglielmo Giannini sarei propenso a credere che a governare bastino i tecnici e persino i ragionieri. Ma finché si pensa che lo Stato sia, com’è, un ente politico, e che la politica possa essere non totalizzante, ma sicuramente primaria e insuperabile, le soluzioni non possono essere che due: o l’indirizzo politico è comunque assicurato dal governo tecnico, con la conseguenza che non è tecnico, o quanto meno lo è molto meno di quanto si voglia far credere in giro; oppure che la repubblica italiana è (probabilmente) l’unico Stato, nominalmente sovrano, che ha un governo che non da un indirizzo politico, malgrado questo sia connaturale allo Stato, più ancora che prescritto dall’art. 95 della costituzione (formale) vigente.
Tra le due soluzioni, la più realistica e meno pericolosa è ovviamente la prima, anche se ipocrita.
E tutto sommato è meno peggio così.
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 Teodoro Klitsche de la Grange
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Teodoro Klitsche de la Grange  è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica "Behemoth" ( http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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