giovedì 10 novembre 2011

Il libro della settimana: Gianfranco Miglio, Lezioni di politica, vol. I, Storia delle dottrine politiche, vol. II, Scienza della Politica, ilMulino 2012, pp. 352, 520, euro  27,00 - 33,00.  

https://www.mulino.it/isbn/9788815233295



E infine sono uscite! Parliamo delle Lezioni di politica di Gianfranco Miglio, intorno alle quali si parlava da anni, con toni, ultimamente, di onirica rassegnazione borgesiana. E invece, grazie alla più grande casa editrice universitaria italiana, il Mulino, li abbiamo, finalmente, tra le mani: due ricchi tomi, dalla veste editoriale sobria ma elegante; un bel contrasto di bianco e blu, da cui si affacciano severi, in copertina, due Maggiori di Miglio: Machiavelli e Hobbes. Il primo volume, Storia della dottrine politiche (pp. 346, euro 27,00), è curato da Davide G. Bianchi, il secondo, Scienza della politica ( pp. 512, euro 33,00), da Alessandro Vitale. La presentazione invece è opera di Lorenzo Ornaghi e Pierangelo Schiera.
I due volumi raccolgono i corsi universitari di Miglio. Come dire, il distillato, la quintessenza di un sapere politico intorno al quale lo studioso ha speso, operosamente, la sua vita. Di qui, probabilmente, “anche” quell’espressione, « politica pura», che Miglio avrebbe voluto usare per denominare le lezioni. Ma così non è stato.
Comunque sia, invidiamo, gli studenti che all’epoca ( gli anni accademici di riferimento sono 1974-1975 e 1975-1976, per la Storia delle dottrine; 1981-1982, per la Scienza della politica) condivisero il rito di iniziazione, centellinando, se ci si passa l’espressione, la fortissima "grappa" politica di Miglio. Per quale ragione iniziazione? Perché si era (e si è) davanti a un’autentica discesa negli inferi della politica: nuda e cruda, senza orpelli e abbellimenti. In questo senso pura, perché libera da qualsiasi impura tirannia dei valori. Miglio, ragiona storicamente per millenni, scava a fondo, cerca regolarità nei comportamenti politici, e soprattutto non fa sconti alle anime belle che amano baloccarsi con i grandi principi ideologici.
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« La politica - scrive lo studioso - ha bisogno dell’ideologia perché la sua realtà sarebbe altrimenti troppo sgradevole. In ogni caso, compito della scienza politica è quello di non farsi depistare da questi percorsi di digressione, il cui compito è quello di tenere insieme la sintesi politica, cementando classe politica e seguito. Quando ci troviamo di fronte a un’impostazione che risolutamente rinuncia a ogni abbellimento - come è nel caso della ragion di Stato - ci colgono allora le vertigini, siamo portati a ritirarci dallo strapiombo che ci si presenta davanti. Bisogna però saper coesistere con il falso dell’ideologia e la realtà della politica, incontrovertibilmente, senza alcuna possibilità di mediazione » (vol. I, p. 211).
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Siamo davanti a un’opera della stessa grandezza e tempra per riferirsi all’Otto-Novecento italiano, di classici del calibro di Pareto, Mosca, Michels. E sicuramente, non inferiore, quanto a intuizioni, a quella di Schmitt e Freund. Di questi ultimi autori, si condivide appieno la fondamentale tesi sulla politica come attività basata sulla distinzione amico-nemico. Puntualizza Miglio:
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« Non esistono aggregazioni politiche di qualche rilievo e soprattutto di qualche stabilità, che non siano polarizzate ed esclusive verso un’altra porzione di umanità (…) . Come i greci non costituirono una struttura politica unitaria, se non quando furono conquistati e dominati da un’entità esterna, con la conquista macedone e vissero un’intensa vita politica ma in sintesi politiche contrapposte, lo stesso è accaduto in Europa. Quest’ultima è esistita quando era un sistema di Stati conflittuali. Il suo declino è derivato dal diminuito carattere decisivo e sovrano delle sintesi politiche che la componevano. L’idea dell’unificazione (…) matura quando il sistema ha cessato di essere vitale. Ma sul piano teorico la conclusione più importante è l’impossibilità strutturale di una sintesi politica unica. Lo Stato politico unico mondiale è escluso da questa logica della contrapposizione polarizzante (…). Nella sua logica il sistema politico è un sistema che ha almeno due grandi aggregazioni politiche, perché la coesione di queste due grandi aggregazioni politiche è data dalla loro conflittualità. C’è una prova storica eccezionale: quando (…) l’Impero romano raccolse tutti gli uomini civili che contavano la sua debolezza interna dipese dalla scarsità del grado di tensione, perché trasformandosi in un grande impero amministrativo che unificava tutti, si ebbe anche il fenomeno del mercenariato, della caduta della funzione conflittuale esterna, della gestione diretta della guerra da parte della classe politica dominante e il sistema si dissolse. Dissolvendosi, diede luogo a una pluralità di sintesi politiche in conflitto fra di loro» ( vol. II, pp. 251-252).
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Ma vanno ricordati due fondamentali apporti analitici, proprietà indiscussa di Miglio : da un lato i concetti di «obbligazione politica» e di « obbligazione contratto-scambio» , dall’altro quello di «rendita politica».
Semplificando al massimo, per lo studioso l’obbligazione politica è fondata sull’identificazione tra leader e seguaci, mentre quella contrattuale su un calcolato dare-avere; la prima è una cambiale in bianco, tra governati e governanti, che guarda con speranza al futuro; la seconda, un contratto, tra due privati, che si volge al presente, imponendo, spesso, istantanea soddisfazione. Il che significa che il gioco delle passioni in politica ha un ruolo fondamentale: il gusto irrazionale di comandare e di afferrare quanto più potere possibile, a danno dei nemici, facendosi aiutare dagli amici, attraversa tutti i regimi politici, pur indossando maschere ideologiche e istituzionali differenti:


«La meta ultima dell’aggregazione politica - sottolinea Miglio - è dunque sostanzialmente il momento in cui i seguaci si identificano, si confondono nel capo. Essi annullano in parte la loro personalità in quella del capo politico. In quel momento la sintesi politica funziona al massimo. Perché in quel momento ogni atto, ogni scelta, ogni decisione, anche magari costosa, sanguinosa, pesante, dei capi politici è sentita come propria (…). C’è un giudizio che trascende il calcolo razionale. Questo fatto indica i momenti di massima tensione (…). Ancora un volta qui si tocca lo sconcertante, antipatico (ma che va studiato) carattere dell’esperienza politica, che è la sua irrazionalità” » ( vol. II, p. 234).
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Quanto al concetto di «rendita politica», lasciamo di nuovo la parola a Miglio:

«Il potere politico stabilisce un ufficio che dovrà rilasciarlo, fissa la quota che per ottenere quel documento ogni cittadino dovrà pagare e trasferisce questo tributo ai funzionari incaricati di fornire il documento. Ecco il classico caso di rendita politica, in cui colui il quale è in grado d stabilire il bisogno mediante costrizione è anche colui che, o direttamente ricava il tributo che in tal modo impone, o lo trasferisce normalmente ai suoi seguaci perché lo godano. Questo è il meccanismo classico delle rendita politica » ( vol. II, p. 323).


Ovviamente lo spettro è molto ampio si va dall’imposizione dei tributi alla richiesta illecita di vere e proprie tangenti. Senza dimenticare, altra intrigante “reinvenzione” di Miglio, i cosiddetti «trasferimenti» di cui si appropria lo Stato, puntando talvolta sull’ inflazione:

«La moneta è il modo con il quale il singolo individuo ha consolidato “l’area del mercato”, l’area dello scambio sottraendosi alla rendita politica. Infatti, cosa vuol dire risparmiare, accumulare risparmio - purché ci siano dei mezzi valutari che siano stabili? Vuol dire pensare ai propri bisogni futuri. Ma come abbiamo visto, l’obbligazione politica la si contrae soprattutto per garantirsi il futuro. L’invenzione e le convenzioni sulla stabilità della moneta sono il modo con cui i singoli individui si sono garantiti con mezzi “privati”. “Non ho bisogno di andare a ossequiare nessuna forza politica perché tanto io, con il mio lavoro, ho accumulato abbastanza da poter provvedere alle mie esigenze future, anche quando sarò ammalato, avrò bisogno di una casa e via dicendo, fino al momento in cui non potrò più lavorare”. Ma inflazione, togliendo valore alla moneta, inducendo i cittadini a spendere tutto quel che guadagnano e a non risparmiare niente li rende inermi di fronte al potere politico. Più che mai questi avranno bisogno di protezione politica per garantirsi il futuro. Allora il potere politico potrà dire. “Provvedo io, con il mio sistema delle pensioni pubbliche. Anzi, a poco a poco ti costringo a non garantirti con pattuizioni e compensi guadagnati nell’economia di mercato. Solo io vi provvedo, con i miei prelievi e, se farai il bravo, se starai buono e ubbidirai, avrai l’avvenire garantito” » ( vol. II, p. 361).
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Che aggiungere? Nulla. O magari solo due cose: l’ invito a non farsi scappare questi due bei volumi. E un piccolo appunto ai curatori: forse un indice dei nomi e (perché no?) anche degli argomenti, oltre che in linea con il galateo accademico, sarebbe stato di qualche utilità per i lettori.


Carlo Gambescia

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